Mali – viaggio nella musica
E’ il secondo anno che agli inizi di febbraio si svolge a Segou, antica capitale dei Bambara, il Festival sur le Niger, evento straordinario che raduna alcuni dei principali artisti del Mali per tre giorni di musica, danza, sfilate in costume, spettacoli di marionette, stage di tecniche artigianali e mostre d’arte. Dopo il Festival du desert, che si svolge a Timbouctou, e la seconda manifestazione nata per attrarre non solo i maliani, ma anche i turisti internazionali, provenienti soprattutto dai paesi europei più sensibili alla cultura africana, come Francia, Inghilterra, Germania e Olanda.
Io e Fabrizio arriviamo a Segou venerdì all’ora di pranzo. Il viaggio in pulman sulla superstrada da Bamako a Segou è stato piuttosto comodo, il pulman era vuoto e l’aria condizionata funzionava persino troppo.
Lungo la strada il paesaggio è cambiato progressivamente sotto i nostri occhi. Usciti dalla caotica e polverosa periferia di Bamako, in cui il caldo e la puzza degli scarichi dei vecchi motori diesel sfiancati è la stessa del centro della città, la strada asfaltata si fa pià stretta e viene circondata da una fitta macchia bassa e arbustosa. Di tanto in tanto lungo la strada si trova un villaggio, caratterizzato dalle sue case basse costruite con mattoni di fango, gli stessi che scorgiamo in pile ordinate ad essiccare al sole, dagli ampi recinti nei quali sosta qualche capra, e dalle sgangherate tettoie di foglie e lamiera sotto alle quali i venditori espongono la loro merce. Ogni villaggio esibisce orgoglosamente la sua moschea, arancione come la terra e dalle forme arrotondate caratteristiche dell’architettura sudanica.
Quando il pulman si ferma i venditori ambulanti si scatenano, e visto che i nostri finestrini sono sigillati salgono sul pulman, offrendo palloncini di plastica pieni di acqua da bere e di altre bevende color rosso ciliegia o verde bottiglia, frittelle e biscotti.
In una di queste soste, a un paio d’ore da Bamako, il pulman non riparte. Deve esserci qualche problema all’impianto di raffreddamento, lo si capisce quando l’autista scende e apre il vano motore posteriore, dal quale sbuffa fuori una nuvola di vapore. La gente del villaggio si avvicina curiosa come sempre accade in Africa, dove ogni problema, prima di cercarne la soluzione, viene condiviso. Dopo qualche minuto anch’io scendo e mi unisco al capannello che si è formato dietro al pulman. Finalmente arriva qualcuno con un paio di taniche e un imbuto, si fa strada tra la gente che non vuole perdersi lo spettacolo e rabbocca il livello dell’acqua nel radiatore.
Ripartiamo.
Andando ancora avanti i villaggi si diradano, la macchia si fa sempre meno fitta, svelando le rocce rosse e levigate che spuntano dalla terra. Ecco apparire i primi baobab, gli alberi imponenti dai larghi tronchi in cui accumulano le riserve d’acqua e dai corti rami dalle forme arrotondate, tipici della zona del Sahel.
Sulla strada incrociamo pochissimi veicoli, nonostante stiamo percorrendo l’unica via asfaltata che, srotolandosi lungo il corso del grande fiume Niger, unisce Bamako a Segou, Mopti e Timbuctu. Nel frattempo i baobab sono aumentati e spuntano ovunque, mentre i villaggi sono sempre più assolati.
Come promesso Maki ci aspetta alla stazione dei pulman. Toumani lo ha chiamato la sera prima, è suo cugino e, se non si fosse dimostrato da subito troppo avido di denaro gli avremmo permesso di accompagnarci durante il nostro soggiorno a Segou. Maki è un uomo grosso e ha modi esageratamente cordiali. Indossa una lunga tunica bianca e un cappello rosso, e guida una mercedes 190 non troppo malandata. La prima tappa è l’Hotel Savane, dove è istallata una delle reception del Festival.
Sbrigate le pratiche per l’iscrizione ci accomiatiamo da Maki e, dopo aver posato gli zaini nella nostra stanza, ci dirigiamo a piedi verso il centro della città. Rispetto a Bamako Segou è una tranquilla cittadina di provincia che ci sembra persino silenziosa e ordinata. I vecchi edifici in terra rossa, aggraziati e ben tenuti, e la presenza maestosa del fiume gli conferiscono un certo fascino.
La sede del Festival è in una ampia zona sulla riva del Niger. Il palco per la musica è una chiatta ancorata sul fiume, mentre la zona per gli spettatori, oltre alla spiaggia dove si può ballare e all’ampio scivolo sulla riva, e attrezzata con sedie di metallo. Nell’area ci sono anche tre zone ristoro, una zona dedicata alla bancarelle degli artigiani, un altro palco e un paio di mostre d’arte moderna..
Appena arrivati incontriamo Habib Koite circondato dai fans e, con lui, Keletigui Diabate, e Mamadou Kone, rispettivamente balafonista e tamafola del gruppo dei Bamada. Avevamo conosciuto entrambi a Bamako. Kone è venuto a prenderci al nostro arrivo in aereoporto, e il giorno successivo siamo stati a casa sua e abbiamo consumato il nostro primo pranzo africano, mangiando tutti insieme con le mani, da un unico piatto, dell’ottimo riso con sugo di carne.
Keletigui ha 76 anni, è massiccio, calvo e ha uno sguardo forte e intelligente. E’ il vecchio della famigla Diabate, monumento della scena musicale maliana a partire dagli anni ’50. Prima direttore e chitarrista dell’Orchestre National A, ha suonato il balafon con la Rail Band di Mory Kante, con Les Ambassadeurs du Motel di Salif Keita, con i National Badema di Kasse Mady, con il trio di Toumani Diabate e adesso fa parte del gruppo di Habib Koite. Lo abbiamo incontrato a casa sua, a Lafiabougou, appena un paio di giorni prima, e quando ci vede ci abbraccia affettuosamente.
Passiamo il pomeriggio frugando tra i negozi e le bancarelle di artigianato touareg, bambara e dogon, aperti nei dintorni dell’area del festival, fino all’ora in cui è prevista la cerimonia ufficiale di apertura della manifestazione, preceduta dall’arrivo, tra tamburi e musica, dei gruppi tradizionali, tra cui i nobili a cavallo con il loro seguito, i cacciatori, gli agricoltori. Quando il sole si fa meno caldo, dopo i discorsi delle varie personalità della politica e della cultura, nel pomeriggio si susseguono sul palco e nel piazzale gruppi di musicisti e danzatori. Un breve passaggio in albergo per riposarci dal viaggio e siamo pronti per la lunga kermesse musicale prevista a partire dalle 21, fino a tardi.
La prima sera si apre con i padroni di casa, l’orchestra Super Biton de Segou, fondata negli anni 60 e divenuta prima orchestra regionale e poi nazionale, nel 78, grazie al successo ottenuto al Festival panafricano di Lagos del 77. Oggi alcuni dei protagonisti dei Biton di allora sono morti, e l’orchestra si presenta senza la proverbiale sezione di fiati guidata un tempo dalla tromba di Mamadou Ba. Ciò nonostante la loro performance scalda il pubblico, creando una piacevole atmosfera retrò dal sapore latino-americano, che ricorda il sound post-coloniale.
Dopo i Biton si esibisce sul palco centrale Babani Kone, una djeli di successo la cui produzione musicale, testimoniata dal suo Sanou Djala, prodotto da Stern nel 1998, ha un’impronta marcatamente dance e commerciale, pur rispettando certi canoni tradizionali. Dal vivo ha charme e una voce potente, ma la band non è granché.
Sono le 11 quando sale sul palco Neba Solo, uno dei gruppi più entusiasmanti dell’intero festival. Neba Solo è un gruppo guidato da Souleymane Traore, il quale suona un balafon modificato aggiungendo alla tastiera classica un certo numero di legni che estendono la scala verso il basso. Oltre a due balafon disposti al centro sul palco, i Neba Solo comprendono altri quattro percussionisti, un batterista e due incredibili ballerini.
Usciti sulla scena internazionale nel 2000, grazie al progetto creativo Frikiwa del DJ francese Frederic Galliano, che ha unito le sonorità tradizionali maliane con la dance elettronica, i Neba Solo riescono a produrre la stessa perfetta e incredibile sinergia anche senza elettronica. Il loro groove micidiale non prevede campionamenti di alcun genere, ciò nonostante procede potente, ipnotico e coinvolgente. Mentre la cassa della batteria batte in quattro, shekere, calabash, caragnan e campane preparano il terreno sul quale i due balafon si alternano tra i ruoli di solista e accompagnamento. I due danzatori, vestiti all’occidentale, indossano scarpe da ginnastica bianche, che attirano l’attenzione sui loro piedi. Sembrano galleggiare nell’aria, perfettamente sincronizzati, con una grazia e una velocità difficili da credere e da immaginare.
Dietro al palco, sulle acque nere del fiume compare prima una lampada, poi un’altra, poi ancora. Nei riflessi sull’acqua appare una processione di piroghe di pescatori, a decine, che lentamente popolano il Niger. La serata ondeggia ormai tra realtà e magia, tra trance e consapevolezza di vivere uno di quei rari e fortunati casi in cui si riesce ad essere nel luogo giusto al momento giusto. Sulla spiaggia, tra i fuochi sulla riva impazzano le danze, mentre i Neba Solo stravolgono i corpi e le menti con la loro strabordante energia.
A chiudere la serata è Habib Koite, artista straordinario, stregone della chitarra acustica, definito da qualche critico l’Eric Clapton del Mali. La sua musica ha il pregio di essere al tempo stesso amcorata alle radici maliane e fruibile per il grande pubblico internazionale, grazie alla bravura dei musicisti del gruppo dei Bamada, al sound acustico e alla bella voce dello stesso Habib. Foly, il recente doppio dal vivo dei Bamada, coglie quella grinta che normalmente è assente nelle registrazioni in studio soprattutto degli artisti africani, e credo sia un album che possa essere consigliato a chiunque, indipendentemente dai suoi gusti musicali. Uno a uno si susseguono i brani del repertorio dei Bamada, alternando momenti lirici ai lunghi assoli di chitarra acustica, balafon e percussioni Torniamo alla nostra spartana residenza alle 3 del mattino, e saturi di musica ci addormentiamo.