Fela Kuti – Discografia ragionata – Parte 3 – 1969 / ‘70
Nella seconda metà degli anni ’60 la Nigeria era scossa dalla guerra del Biafra. Le presunte frodi elettorali che nel 1965 avevano portato al potere l’hausa Aboubakar Tafawa Balewa, rappresentante dell’alleanza tra hausa del nord e yoruba dell’ovest, furono una delle principali cause del primo colpo di stato militare nigeriano, avvenuto il 15 gennaio 1966, guidato dal colonello Johnson Aguyi-Ironsi, di etnia igbo.
Il 15 gennaio è celebrato patriotticamente nel brano “Son of 15th of January” da Segun Bucknor, cugino del pianista dei primi Lobitos Wole Bucknor e amico di Fela, le cui notevoli incisioni della fine degli anni ’60 sono state sottratte all’oblio grazie alla pubblicazione del suo “Poor Man no Get Brother” (Strut, 2002). Ma la speranza degli igbo durò poco, fino a quando l’alleanza del nord-ovest organizzò un contro-colpo di stato nel luglio dello stesso anno, insediando al potere il colonnello Yakubu Gowon, di etnia hausa. Il nuovo governo militare diede inizio al massacro degli igbo che vivevano nel nord, e all’invasione del Biafra, ancora in mano all’etnia rivale.
Nel febbraio del 1966 anche il Ghana subì un colpo di stato militare manovrato dalla CIA, che costrinse il presidente Kwameh Nkrumah all’esilio. Sia il Ghana che la Nigeria entrarono in quegli anni nella sfera di influenza degli Stati Uniti, ed evidentemente non fu una coincidenza che la black music divennisse il genere musicale predominante in entrambi i paesi.
I Koola Lobitos e i Modern Aces di Orlando Julius, pioniere dell’afro-soul, erano allora ra i protagonisti della scena musicale di Lagos, almeno fino a quando non furono oscurati dalla tournéè nigeriana di Geraldo Pino.
America
Fela fu spinto ad accelerare la sua partenza per gli States proprio dall’inizio della seconda tourneé di Pino, che lo avrbbe visto incendiare le notti nigeriane a partire dal nord, per concludersi a Lagos. “Pino era già in Nigeria – racconta Fela – e richiamava un pubblico sempre più numeroso, a mio discapito. Ma l’idea che io partissi per l’America faceva un certo effetto, e la mia immagine ne risentì positivamente. Tutto andò come previsto. Quando lui arrivò a Lagos io non c’ero più.”
L’avvio frettoloso e la disorganizzazione furono le principali cause dell’inizio disastroso della tourneé dei Lobitos. I manager americani non si lasciavano certo impressionati da quel sound povero e grossolano, Fela non riusciva ad esibirsi in pubblico, i soldi si esaurivano e la scadenza dei permessi di soggiorno si avvicinava. Fela e i Lobitos si ritrovarono a Los Angeles senza lavoro. Nei pochi concerti che erano riusciti a tenere erano stati accolti freddamente da un pubblico che si aspettava un ensamble tradizionale di tamburi e danza, e non certo una esotica caricatura del jazz, come suonava la musica della band nigeriana alle loro orecchie. Con la poca fortuna che gli era rimasta i Lobitos furono invitati ad aprire un grande concerto californiano di Frank Sinatra e Bing Crosby, ma alla vigilia dell’evento il bassista Felix Jones scomparve, terrorizzato dalla ridicola prospettiva che, essendo di etnia igbo, sarebbe stato deportato in Nigeria dal governo americano, che appoggiava l’alleanza del nord-ovest. Il concerto fu un disastro e gettò Fela, che non intendeva certo ritornare in patria sconfitto, nella disperazione.
Finalmente, Aiutati da Duke Lumimba, un promoter ghaniano, i Lobitos riuscirono ad ottenere un contratto per suonare in pianta stabile al Citadel d’Haiti, un club di Hollywood. Fu allora che, nel tentativo di ottenere fondi dal governo nigeriano, sulla base del suo vecchio brano Wakawaka Fela compose Viva Nigeria, un brano filo-governativo che incitava all’unità e alla fratellanza, ricalcando lo slogan patriottico “Keep Nigeria One”.
Fratelli e sorelle africani,
non dovremmo imparare a farci la guerra l’uno contro l’altro.
Facciamo che la Nigeria sia un esempio per tutti.
Abbiamo da imparare più dal costruire che dal distruggere.
La nostra gente non può permettere che ci sia ancora sofferenza.
Prendiamoci per mano, Africa.
Non abbiamo nulla da perdere, ma molto da guadagnare.
La guerra non è la risposta, non è mai stata e mai lo sarà.
Una nazione indivisibile,
Lunga vita alla Nigeria,
viva l’Africa.
(Viva Nigeria).
Fu in quel periodo che Fela conobbe Sandra Smith, un’afro-americana attivista nel movimento delle Black Panther, un gruppo rivoluzionario che rifiutava la nonviolenza di M. L. King, si ispirava all’ideologia marxista-leninista e si basava sul radicamento nel territorio e sul concetto dell’autodifesa. Fu grazie alla relazione con Sandra che Fela costruì il nucleo fondamentale della sua coscienza politica, che lo avrebbe ispirato in futuro. Fela venne così a conoscenza degli ideali del black power e del movimento del “ritorno all’Africa”, incarnati negli States da Martin Luther King e – soprattutto – da Malcom X. Esposto alla contro-cultura americana, Fela cominciò anche a fumare intensamente marijuana, che in seguito descrisse come un formidabile stimolatore della sua creatività. Dal punto di vista musicale Fela venne in contatto con il funky di Sly and the Family Stones, dei Funkadelic, dei Buddy Miles Express e dei gruppi della motown come i Temptation e i Jackson Five, con il jazz modale e destrutturato di Miles Davis e John Coltrane e con il free jazz. Nel pieno della tempesta di quei nuovi stimoli ideologici, psichedelici e musicali, Fela riconobbe che sino ad allora non aveva mai suonato autentica musica africana.
Il nuovo corso musicale di Fela, che scaturì dalla sua permanenza negli States e proseguì nel periodo dopo il suo ritorno in Nigeria, è documentato negli album The ’69 Los Angeles Session e Fela’s London Scene, quest’ultimo pubblicato su CD assieme a Shakara, assolutamente da acquistare ed ascoltare. In omaggio alla loro caratterizzazione più africana i Lobitos avevano cambiato nome in Nigeria ’70, che in seguito sarebbe diventato Africa ’70, con cui è conosciuta la storica orchestra di Fela dei tempi migliori.
The ’69 Los Angeles Session, edito da Stern nel 1992, è una riproposizione dell’LP nigeriano Fela Fela Fela, uscito tra il ’69 e il ’70 e prodotto da Duke Lumumba. Il disco raccoglie i brani suonati dai Nigeria ’70 al Citadel d’Haiti. Tra questi My Lady’s Frustration, brano composto in omaggio a Sandra, è considerato il primo pezzo di Afrobeat seminale nella carriera di Fela. Il materiale di L.A. Session presenta per la prima volta una sintesi matura e coesa tra jazz, soul e musica africana. Gli arrangiamenti ruotano intorno al groove generato da basso e chitarra ritmica, in puro stile funky, e – soprattutto – dal tappeto ritmico inconfondibile costruito dalla batteria di Tony Allen, che a partire da My Lady Frustration getta le basi per la fondazione di un nuovo stile musicale. In L.A. Session appare chiaro il motivo per cui si considera Tony Allen, con il suo tessuto impetuoso e continuo, i suo colpi doppi alla grancassa e al rullante, i suoi accenti sincopati, il suo instacabile lavoro sui piatti, almeno importante quanto Fela nella nascita dell’Afrobeat.
La struttura dei brani si poggia sulla sezione dei fiati, a cavallo tra il jazz e il soul, che definiscono un semplice tema principale, lo intrecciano a una o due linee ritmico-armoniche complementari, segnano i passaggi tra tema, assoli e ritorno al tema e rafforzano il groove complessivo. La struttura armonica e à cavallo tra il blues e il modalismo, caratteristico del jazz ma anche di generi tradizionali youruba come l’apala di Aruna Ishola. Dal punto di vista dei testi e del modo di cantare Fela è invece ancorato ai vecchi Lobitos. Quando non usa vocalizzi puramente ritmici, come in Frustration, Fela continua ad usare la lingua yoruba e si occupa di argomenti irrilevanti. In Obe, ad esempio, esprime la sua predilizione per i cibi molto piccanti,, mentre in Eko racconta in modo generico la vitalità delle notti di Lagos e il brulicare di ladri e vagabondi tra le banchine del porto.
Nel febbraio del 1970, data del suo ritorno a Lagos, la guerra del Biafra si era conclusa da un mese. Il presidente Gowon fu intelligente nel non infierire contro gli igbo, reintegrò i militari del Biafra nell’esercito nigeriano e rilanciò l’economia del paese grazie a nuovi contratti con le multinazionali americane e europee del petrolio: Gulf, Chevron, Shell, Mobil, Agip, Texaco e Afrap. Ben presto la Nigeria divenne il primo produttore africano di petrolio e il decimo nel mondo. La ricchezza prodotta grazie all’oil boom costituì un forte impulso in ogni campo dell’economia e della società, riuscendo persino a mascherare la corruzione e l’ingiustizia sociale imperanti. La Nigeria attraversò un periodo di grande entusiasmo, e l’industria musicale di Lagos, dove case come la Decca e la EMI aprirono strutture produttive localizzate, divenne la più importante dell’intero continente.
Fu in quegli anni che esplose la juju music di Knig Sunny Ade e Chief Ebenezer Obey, il nuovo highlife di Victor Uwaifo, Prince Nico Mbarga e Stephen Osita Osadebe e l’Afro-rock di Sonny Okosuns e Johnny Haastrup. Fela propose all’Afro Spot il suo materiale americano, che ancora una volta sconcertò il suo pubblico, il quale, abituato all’highlife-jazz, considerò la nuova musica degli Africa ’70 nient’altro che una imitazione africanizzata del soul.
In Fela’s London Scene, la cui versione originale della EMI nigeriana è proprio di quell’anno, l’Afrobeat, come Fela aveva cominciato a chiamare la sua nuova musica, assume una forma più compiuta Spinto dalla necessità di caratterizzare ancor di più il suo sound in senso africano e dalla volontà di diffondere in patria il messaggio ideologico e politico del black power, Fela compose nuove canzoni, introdusse l’uso del piano elettrico, di percussioni tradizionali – sticks e shekere e campane – accanto a batteria e congas, e abbandonò le canzoni d’amore e i testi frivoli dei Lobitos, rivoluzionando lentamente i contenuti dei suoi brani.
Il sound degli Africa ’70 divenne più potente e l’Afro Spot attirava sempre più giovani entusiasti. Buy Africa, un funky trascinante in mid-tempo costruito su armonie blues e con uno splendido assolo di Igo Chico al sax tenore, fu uno dei primi brani politicizzati di Fela, cantato in yoruba e in inglese.
E’ indigeno (fatto in Africa)?
Non lo voglio! Non voglio comprarlo! Non voglio parteciparvi!
Chi sosterrà la nostra cultura? Chi lo farà al nostro posto?
Come potremo diventare ricchi in Africa come negli altri paesi
se non sosteniamo la nostra produzione?
Compra (merce prodotta in) Africa.
(Buy Africa)
Durante tutto il 1970 Fela produsse un crescendo di brani, solo alcuni dei quali sono stati ripubblicati su CD, magari sparsi in qualche raccolta. Black Man’s Cry è contenuto nel Live con Ginger Baker, mentre Jeun K’oku e Na Fight O non mi risulta siano reperibili. Fela fu anche vittima di una serie di provocazioni e violenze ad opera della malavita locale, ma invece di subire il pagamento del protezione i suoi “Fela-boys”, come venivano chiamati i fans più assidui, reagirono, scatenando vere e proprie rappresaglie, che crearono un certo alone di pericolosità intorno alle serate all’Afro-Spot.
A dicembre dello stesso anno James Brown sbarcò a Lagos. E’ difficile per noi comprendere cosa significasse per gli africani un simile evento. Accolto all’aeroporto come un autentico re da migliaia di fans, Il padrino del soul ricevette le chiavi della città, mentre i giornali scrivevano della sua musica e della sua visione della vita, paragonandolo addirittura a giganti della cultura nera come K. Nkrumah e M.L King. Brown ebbe contatti con i musicisti di Lagos, incise alcuni brani con i Cool Cats di Victor Olaiya e, naturalmente, incotrò Fela Kuti all’Afro-Spot. Di quell’incontro non si sa moltissimo, ma in seguito Wiliam Bootsy Collins, bassista del gruppo di JB, ebbe a dichiarare che che gli Africa ’70 “erano la band più funky che avessimo ascoltato nella nostra vita. Sia chiaro, noi eravamo la James Brown Band, ma in quell’occasione funno completamente annichiliti. Quello fu un viaggio che non avrei voluto perdermi per nulla al mondo.”
Tony Allen raccontò in seguito che, durante i loro concerti, “il loro arrangiatore, un bianco (Dave Matthews) mi fissava mentre suonavo la batteria, guardava le mie gambe e le mie mani e prendeva appunti. Ci fu un forte scambio tra noi e la band di James Brown. Come JB influenzò la musica nigeriana, così Fela ebbe in qualche modo una influenza sulla musica americana.” L’entità di tale influenza è naturalmente tutta da accertare.
A partire dall’anno successivo gli Africa ’70 si impadronirono definitivamente della scena musicale di Lagos, ed esplosero in tutta la Nigeria.
Brani:
The ’69 Los Angeles Session
1. My Lady Frustration
2. Viva Nigeria
3. Obe
4. Ako
5. Witchcraft
6. Wayo
7. Lover
8. Funky Horn
9. Eko
10. This is Sad
Fela’s London Scene
1. J’Ehin J’Ehin
2. Egbe Me O
3. Who’re You
4. Buy Africa
5. Fight to Finish