Unboxing. Metallica
Torniamo alla rubrica Unboxing, questa volta per parlare dei Metallica, di certo una delle più controverse metal band di sempre.
Partiti dal Thrash losangelino, i Metallica hanno ben presto abbracciato il cosiddetto mainstream, tradendo prima se stessi e poi i fans, in onore di quel dio denaro tanto inseguito, divenendo con il tempo una business band (in stile Kiss), palesando il colpevole demerito di abbandonare il proprio sound grezzo e abrasivo in favore di inattese edulcorazioni musicali.
Da un lato potremmo argomentare sul coraggio di mutare il proprio ego, sperimentando nuovi sentieri, dall’alto il sapore del denaro ha di certo creato nei fan della prima ora un pregiudizio, ahimè confermato dalla tragicomica vicenda di Napster. Pertanto, per conoscere e comprendere il mondo dei Metallica si deve inevitabilmente considerare il ciclotimico andamento di un gruppo in grado di alternare capolavori assoluti a produzioni a dir poco imbarazzanti.
Metallica le canzoni selezionate
Da questa storia cercherò di estrarre dieci brani in grado di raccontare quarant’anni di musica. Una storia definita, a mio avviso, in tre differenti fasi: L’age d’or dal 1983 all’1988, la devianza dal 1991 al 2003 e la rinascita dal 2008 al 2023.
Narrando in maniera cronologica, il primo brano a cui voglio dare evidenza è senza troppi dubbi Seek and Destroy estratto dal cult album Kill’em all, germinale opera senza tempo. Il brano, ancora oggi atto di chiusura di molte live set list, propone un timing straordinariamente tirato, chiaro esempio di Speed Thrash in grado di trainare l’ascoltatore in un mondo, in allora, inesplorato.
Il tracciato dei Metallica ci porta poi alle piaghe d’Egitto, narrate da Creeping Death, in cui l’incrocio delle sei corde di Hetfield e Hammett si sposa con una linea di basso ardita e travolgente.
Pur molto giovane, la band sembra già portare con sé idee chiare e originalità, sin da subito intrecciate con un sound davvero imponente che nel 1986 trova il suo apice con Master of Puppets. Infatti, nascoste dietro all’iconica cover art si celano brani straordinari come Orion, impeccabile suite strumentale, la mastodontica Battery e la sottovalutata Leper messiah. Innegabile però dover considerare come traccia cardine la titletrack, peraltro, riportata a nuova vita grazie al mondo di Stranger Things.
Dopo la tragica scomparsa di Cliff Burton la band torna nel 1987 con uno straordinario exteded played: The $5.98 E.P.: Garage Days Re-Revisited, breve raccolta di cover, da cui estraggo Last carress/ Green Hell originariamente interpretate dai Misfits. La traccia, grezza e impolverata, rappresenta una mai celata anima punk, in grado di influenzare la propria vena autodistruttiva degli esordi, ma anche definire le pareti creative che, alla luce di decisioni più o meno vincenti, hanno restituito una band in grado di andare oltre, ben oltre… talvolta troppo oltre (come dimostra Lulu).
Arriviamo al 1988 con quello che per molti è l’ultimo grande album: …And Justice for all… in cui la band abbandona il Thrash degli albori per giocare con linee progressive, che portano ai nove minuti e 46 secondi della traccia per eccellenza. Trascinato dalla miglior copertina di sempre, la band destabilizza con One e Eye of the beholder, producendo un LP in cui la quattro corde di Newsted sembrano apparire un’ombra invasiva.
Solo nel 1991, però, la band definisce la propria metamorfosi licenziando il cosiddetto Black album, reale crocevia di una timeline deflagrata dalle armonie dirette di Enter Sandman e Don’t Tread on me. Il brano essenziale di questo album divisivo è però, senza troppi dubbi Nothing Else Matters che, volenti o nolenti appare ancora oggi un brano cult, in cui la band si cimenta con una ballad per certi versi ammiccante e inattesa.
Ma ben presto l’ubriacatura del successo finisce per devastare gradatamente il mondo dei Metallica, che arriva nel 1996 ad un ulteriore cambio direttivo, in cui le idee vengono fagocitate da scelte estetiche e stilistiche a dir poco desolanti, pronte a dare spazio a dieci anni di vuoto, riempito solo da dissidi e problematiche straordinariamente inquadrate nel docu-film Kind of Monsters; un periodo definito da una potenza artistica da cui non sento di dover salvare nulla, neppure Fuel.
Nel 1999 la band decide di dare alle stampe S&M, un album dal vivo realizzato con la San Francisco Symphony. La release coraggiosa e a tratti oltraggiosa, riesce a disegnare inusuali strutture musicali dei loro brani, qui proposti in una nuova chiave armonica. Tra le migliori tracce troviamo un’ottima rivisitazione di The Ecstasy of gold di Ennio Morricone, ancora utilizzata dai Metallica come brano d’apertura dei loro concerti.
Poi con l’arrivo di Death Magnetic, grazie anche al lavoro di Rick Rubin, la band torna a proporre un sound heavy di qualità, attraverso dieci tracce dalla lunga durata, da cui voglio estrarre the Judas Kiss, in cui la bassline di Robert Trujillo riporta la sezione ritmica agli antichi fasti, che ci trascinano verso l’oscura ed inquieta Hardwired, candidata al Grammy Awards 2017 come miglior canzone rock.
A chiudere questo nuovo unboxing è, infine, Lux æterna estratta dall’ultima fatica 72 Seasons, luce illusoria di un passato che ormai resiste solo in presa live.
Qui si conclude il nostro breve viaggio tra le note di una band che, pur cadendo, è riuscita a tornare sui propri passi, modificando l’ingenuità di errori creativi che sembrano aver lasciato il posto ad una nuova giovinezza.