Palmer Generator/The Great Saunites “PGTGS”, recensione
Non ho mai amato gli split album, ma questo è un problema soggettivo, quindi tento di superare quella sensazioni di incompletezza che sono solito provare in questi casi e mi impegno ad imprigionare le sensazioni personali, aiutato di certo da un disco che, in verità, sto ascoltando da giorni, non certo per avallare la mia tesi iniziale, quanto per godere di un sound piacevolmente narrativo.
Protagonisti di questa nuova proposta di Peyote Press sono Palmer Generator e The Great Saunites due ensemble impolverate da un underground più che mai vivo. Le band, già unite da esperienze live, portano le loro libere idee sotto l’egida di Bloody Sound Fucktory, Brigadisco e Il verso del cinghiale sotto forma di vinile da 180 grammi, per dare alle stampe due lati di un’unica realtà iconica e creativa.
A dare battesimo a questo PGTGS è Mandrie, suite in due parti in cui le venature post rock dei Palmer Generator disegnano impronte sonore reiterate e cadenzate, delineate da un fil rouge ipnotico e filmico, perfetto nel raccontare in maniera silente le strutture emozionali non troppo discoste da sensazioni tipicamente nordiche. La visività dei cambi direzionali ci porta poi verso le metriche artistiche di Zante, in cui The great Saunites mostrano attitudini più spigolose ed ossessive. Infatti, proprio come già ci hanno abituato in passato, il duo si ritrova a raccontare dinamiche circolari che, grazie alla loro accogliente ridondanza, definiscono una riuscita autostrada verso l’ascolto attentivo. Il sound, senza dimenticare accenni anni ’70, mostra ritorni surreali e tratti melanconici, ben bilanciati a mezzo di intuizioni rock, da cui emergono i tamburi di Leonard Layola, motore esecutivo di tracciati piacevolmente fuorvianti.
Dunque, se come me non amate gli slip album…fate un’eccezione perché in questo caso è la giusta direzione da prendere.