Malota, The uninvited guest, recensione album
Nati nel 2014, i Malota arrivano nel reparto novità con un nuovo extended played intriso di rock, qui inquinato da stoner e spezie heavy doom. Un crocevia stilistico in cui la particolare timbrica del frontman si amalgama alle sporcizie soniche, che attingono a stili e sonorità divergenti. Infatti, proprio spinti da estensive sensazioni temporali, si passa dall’attitudine Anthrax di Anti-social, alla sezione ritmica di Ministers of Fear. Quest’ultima appare di certo tra le composizioni più interessanti, anche grazie ai suoi cambi direzionali e alle sue sporcizie esecutive che paiono poste tra spoken-word inquieto e polveroso garage.
Da qui si riparte verso i contorni di un album indubbiamente godibile, che sembra voler abbracciare gli ascoltatori tra rabbia descrittiva e disillusione, poste su partiture narrative (Lampedusa) e mood stilistici (The Queen, the lady), in grado di raccontare la grigia contemporaneità.
1. Lampedusa
2. Anti-social
3. Ministers of Fear
4. The Queen, the Lady
5. The Uninvited Guest