Leda “Memorie dal futuro”, recensione
Mi sono bastati 15 secondi del brano d’overture (Ho continuato) per entrare in connessione emozionare con i Leda, quartetto più che interessante proveniente dalle lande marchigiane. Proprio le venature di natura “marleniana”, qui riviste attraverso armonie alternative rock d’oltreoceano, hanno aperto le mie soggettive porte percettive, già poste su di un giusto piano dal solo osservare una coverart avvolgente, onirica e volutamente rurale.
La vocalità delicata ed eterea di Serena Abrami sembra essere un perfetto motore espressivo (Distanze), in grado di accompagnare l’ascoltatore attraverso impronte Baustelle e ricami onirici, per poi continuare tra alternanze e trip rock, qui accennato da Pulviscoli ragionati. A dare spessore all’album sono, di certo, brani come Nuovi simboli e Icaro, armonizzate in maniera impeccabile quanto i cambi direttivi e la cura dei volumi, i cui bilanciamenti definiscono un’alchimia non rara, ma credibile, funzionale e in grado di viaggiare verso apici strumentali che giocano con minimalismi (Nembutal) e sacrificate movenze.
Il disco promosso dalla Fleisch Agency, prova poi a sorprendere con l’andamento “funfarliano” di Deriva, deliziosa composizione ispirata dalla voglia di rinascita e rivalsa nei confronti del destino. Così, tra i classici solchi rock, la band arriva alla fine del sentiero assieme a Marino Severini, voce complementare di un brano conclusivo dedicato a chi ha lottato per la nostra libertà, qui narrata da synth, sensazioni diluite e controcanti d’autore, posti al servizio di un disco da ascoltare tra le prime nebbie d’autunno, ahime, vicino.