Il silenzio delle vergini “Furia Rossa”, recensione
Era il 2017 quando mi innamorai, sine qua non, di Colonne sonore per Cyborg senza voce, non solo per l’approccio etico-artistico della sua musicalità ben connotata, ma anche per l’impronta innovativa che il citazionismo di stampo nipponico sembrava dare alla surreale setlist.
Era il 2018 quando il Silenzio tornò scrivendo su “rami di diamante” e allora mi resi conto della reale potenzialità evocativa degli ISDV, ed oggi, dopo due anni, mi ritrovo con piacere a raccontare ancora una volta il loro mondo, giunto alla terra terza fatica.
Il disco, uscito da pochi giorni per (R)esisto e Dischi del Minollo, mostra nel suo incipit un piglio diversificato (Non ho paura e Cuore di farfalla), in cui aree post e andamenti avvolgenti segnano la via a Mental Code, di certo tra le migliori tracce del disco. La composizione surreale e futurista, gioca con i suoi ardimentosi passaggi per poi cedere alla banalità electro-pop di Radici di paradiso, in cui echi e bass line gotiche non riescono a mitigare passaggi eccessivamente patinati. Ma la band non impiega molto a tornare in sé, infatti, proprio con la seguente “necessità” va a disegnare un andamento ossessivo e profondo, che sembra dovere qualcosa al Carpenter di 1997.
L’album, forse meno (o)scuro (ahimé) degli esordi, gioca con sampler, campionamenti emozionali, sound dilatati e filmici, (Cenere) da cui si ergono sentori dark (Gambino) incancreniti in spoken word deformi ed eteri (Fiori recisi).
A chiudere la nuova release, celata dietro ad un’impeccabile e pittorica opera di cover art è, infine, Il treno dei desideri, singolo armonico e al contempo rituale ed ossessivo, in grado di raccontare all’ascoltatore più di quanto non riesca il suo titolo.
Un disco, insomma, da ascoltare nel cuore della propria serena solitudine.