Storia del Progressive

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Prima parte
Il rock progressivo è stato sicuramente uno dei momenti, nella storia della musica popolare contemporanea, in cui i meccanismi compositivi e creativi del rock hanno cominciato ad evolversi in un senso più complesso (più ‘colto’, direbbero alcuni) rispetto alle semplicistiche basi di partenza fornite dal rock’n’roll, dal blues e dal folk, questi ultimi non ancora elettrificati.

Ma in che cosa consiste questo nuovo modo di concepire il rock?
Siamo verso la fine degli anni ’60 e le radici ‘darwiniane’ sono le più varie: dal beat evoluto al rock-blues, dal folk-rock al jazz-rock, dalle sinfonie classiche agli esperimenti psichedelici, il tutto, ovviamente, filtrato attraverso la strumentazione elettrificata del rock comunemente inteso.

Ma l’obiettivo è più ambizioso: travalicare i limiti della canzone da tre minuti tipica del rock’n’roll e del primo beat, superare, insomma, i limiti spazio-temporali del 45 giri.
Non a caso, grazie al progressive, c’è la definitiva affermazione sul mercato del 33 giri, dell’album, non più assemblaggio confuso di hit o di canzoni disparate (come avveniva nei primi anni ’60), ma organico e consapevole progetto unitario.

Il superamento della canzone da tre minuti significa la nascita della suite, ovvero un brano esteso in più movimenti o parti legate tra loro (spesso lungo un’intera facciata del vinile, se non, addirittura, di più), dove la parte musicale (strettamente strumentale) la fa da padrone, involandosi via via in territori che, almeno per il rock tradizionale, sono totalmente vergini, ma che, proprio per questo, sono ricchissimi di suggestioni e sapori tanto sconosciuti quanto attraenti.
La suite concettualmente emula la struttura della sinfonia classica, anche se i risultati concreti sono del tutto diversi e originali, grazie alla diversità e peculiarità delle radici sopra menzionate, unite alla specifica sensibilità ritmico-armonico-melodica tipica del rock.

Da qui nasce anche l’idea del concept album, un disco organizzato, sia musicalmente che liricamente, a tema: in quest’ottica anche i testi non sono più semplici e banalissime promesse o invocazioni d’amore, ma cominciano ad affrontare tematiche più complesse, dalla religione alla filosofia, dalla storia alla fantascienza, dalla letteratura alla sociologia (non possiamo qui non citare i suggestivi esiti letterari raggiunti da PETER GABRIEL dei Genesis, da ROGER WATERS dei Pink Floyd, da PETER HAMMILL dei Van Der Graaf Generator, da IAN ANDERSON dei Jethro Tull, da PETE SINFIELD dei King Crimson).

Tutto questo va letto, quindi, come un possente sforzo, a volte più a volte meno riuscito, a volte più a volte meno ingenuo, a volte più a volte meno pretenzioso, però univocamente (e meritoriamente) indirizzato verso una definizione sempre più convinta (e convincente) degli intenti (e, spesso, dei risultati) artistico-culturali di certo rock.

I nomi principali di chi si cimenta in questo territorio vergine sono conosciuti più o meno da tutti i veri amanti del rock: GENESIS, YES, PINK FLOYD, EMERSON LAKE & PALMER, KING CRIMSON, MOODY BLUES, JETHRO TULL, MIKE OLDFIELD; non possiamo, però, tralasciare altri gruppi, magari meno famosi, che hanno comunque segnato, con le loro composizioni o i loro album, a volte in maniera anche più sostanziale, la storia del progressive in particolare e del rock più in generale: VAN DER GRAAF GENERATOR, PROCOL HARUM, CAMEL, NICE, GENTLE GIANT, CARAVAN, FAMILY, STRAWBS, HATFIELD & THE NORTH, COLOSSEUM, QUATERMASS, HIGH TIDE, BARCLAY JAMES HARVEST, REINASSANCE, ATOMIC ROOSTER.

Strumento principe di questa nuova genia di gruppi è la tastiera, in tutte le sue multiformi diramazioni sia classiche che elettroniche, dal pianoforte al sintetizzatore, dall’organo al moog, dal clavicembalo al mellotron: TONY BANKS dei Genesis, RICK WRIGHT dei Pink Floyd, RICK WAKEMAN prima negli Strawbs e poi negli Yes, KEITH EMERSON prima nei Nice e poi negli E.L.P., DAVID SINCLAIR dei Caravan, PETER BARDENS dei Camel, DAVE GREENSLADE dei Colosseum, KERRY MINNEAR dei Gentle Giant, IAN MC DONALD e ROBERT FRIPP dei King Crimson, MIKE PINDER dei Moody Blues, VINCENT CRANE degli Atomic Rooster ne sono i principali e più originali interpreti.

Ma questo non significa che la chitarra, vera icona del rock, venga messa da parte: anzi, assieme alla riscoperta della chitarra classica, sale alla ribalta un nuovo modo, o da sensibili virtuosi o da originali provocatori, di suonare quella elettrica: ricordiamo STEVE HACKETT dei Genesis, DAVID GILMOUR dei Pink Floyd, STEVE HOWE degli Yes, GREG LAKE degli E.L.P., ANDY LATIMER dei Camel, MARTIN BARRE dei Jethro Tull, ancora ROBERT FRIPP dei King Crimson, MIKE OLDFIELD.