Perchè ci piace la musica, Silvia Bencivelli
Scrivere di musica non vuol dire esclusivamente occuparsi di autobiografie, genesi musicali o compendi orientativi. Spesso si può raccontare la musica anche andando oltre il suo approccio prettamente sonoro, nel tentativo di esplicare questa splendida arte, capace di esprimere l’interiorità dell’individuo, attraverso una forma d’espressione che, mescolandosi a scienza tra oggettività e soggettività, ci accompagna come nessun altra nel nostro quotidiano.
In metrò, in treno, nei grandi magazzini, al cinema, allo stadio…ovunque il nostro orecchio arriva ad incontrare melodie più o meno gradevoli, capaci, volenti o nolenti, di intervenire sulla nostra mente e sulle nostre emozioni.
In questo libro, edito da Sironi Editore, ci si occupa proprio di approfondire quel misterioso rapporto tra linguaggio e musica, attraverso i valori emozionali ed oggettivi nella sua evoluzione storiografica, e tramite una serie di testimonianze scientifiche, che cercano di avvicinare il lettore al perché ci piaccia la musica, interrogativo che, come scopriremo dalle pagine del libro, rimane aperto.
Ad occuparsi della mise en place letteraria è Silvia Bencivelli, medico e giornalista, che affronta il potere della musica analizzando la querelle dell’effetto Mozart sino a giungere ad un curioso rapporto musicoterapico.
Un insieme di pagine che cercano di esplicare i misteri della nostra mente e le sue difficoltà biologiche, palesando la presunta bipolarità di Beethoven, l’amusicità di Ernesto “Che” Guevara e le allucinazioni di Brian Wilson. Un buona quantità di sottotracce raccontate da un libro che, nonostante l’approfondimento scientifico, si presenta di facile lettura ed in linea con coloro i quali si attendo dalle circa 200 pagine un percorso accertato ed analitico. La disgressione letteraria infatti, trova incipit nei deserti primordiali per poi attraversare i tempi raccontati da teorie inverosimili ma affascinati delle sfere celesti di Pitagora, piuttosto che le sperimentazioni neurologiche sugli animali da laboratorio.
Insomma un libro piacevole ed essenziale, capace di calamitare l’interesse del lettore trasversale, attraverso un approccio che si fa al contempo sociologico ed antropologico, nel tentativo di svelare il mistero che avvolge l’origine delle Eadi, valicando accenni di psicologia dell’età evolutiva, arrivando a definire la musica come un adattivo elemento di coesione, capace di lenire il dolore e forse capace di spiegare il perché a molta gente (io in prima fila) viva sensazioni emozionali forti ripiegandosi sul mondo del brutal metal.