Intervista Afterhours
Venerdì 17 settembre 2004, Genova, Il tora tora festival arriva nella Superba e nel back stage Manuel Agnelli, frontman degli Afterhours e mente plasmante del festival itinerante, concede un intervista a music-on-tnt. Dietro una camicia amaranto e un paio di pantaloni marroni, Manuel si dimostra accogliente e disposto ad essere tartassato da quesiti che speriamo siano lontani dall’essere marzulliani.
1. Dopo quattro anni di Tora Tor afestival reputi che il progetto si sia rivelato vincente?
La domanda è di certo impegnativa! Per quanto riguarda l’aspetto numerico, direi di si, anche perché il fatto di essere arrivati al quarto anno della manifestazione, può essere considerato un risultato notevole; infatti non speravamo neppure di riuscire a realizzare la prima edizione. I numeri senza dubbio stanno crescendo, anno dopo anno, anche se le difficoltà di organizzazione rimangono.
Inizialmente il Tora Tora è nato con l’obiettivo di portare al di fuori di un certo ambiente convenzionale il nostro messaggio. L’intento di ora, come allora è quello di utilizzare il festival come una sorta di megafono, in modo da dare l’opportunità ai vari gruppi, di poter essere ascoltati e conosciuti, anche al di fuori del loro habitat. Valutando questo intento, devo dire che l’obiettivo non è stato ancora del tutto raggiunto, forse perché il pubblico è cambiato molto negli ultimi anni. Rispetto al passato dobbiamo parlare di una platea forse meno curiosa, che ha di fronte a sé una vasta scelta, ritrovandosi così a dover selezionare e a dover fare i conti con un mercato musicale in crisi, arrivando così a scegliere solamente band conosciute e già consolidate nel panorama musicale. Purtroppo questa mancanza di curiosità si palesa anche al Tora Tora osservando come il pubblico si comporta arrivando solo dopo le otto, non curandosi delle proposte iniziali e dimostrando interesse per i soli headliners. Quindi posso dire che il cercare di sensibilizzare maggiormente gli ascoltatori è ancora un risultato lontano dall’essere ottenuto, anche se gli obiettivi che ci eravamo posti quatto anni fa sono stati, per la maggior parte, raggiunti.
2. Rispetto agli anni passati, nel cartellone del Tora Tora i grandi nomi sono meno presenti, questa è stata un esigenza dovuta alla mancanza di disponibilità di alcune band o più una vostra scelta?
Hai ragione quando parli della disponibilità dei gruppi, perché purtroppo per partecipare al Tora Tora Festival le band devono, per ovvietà di cose, saltare una data del loro tour; ma in realtà è stata più una scelta dovuta alla necessità di rinnovarsi, per non incorrere nel rischio di divenire auto-celebrativi. A noi non interesse decantare davanti a migliaia di persone i soliti gruppi, l’intento come dicevo prima, è quello di dare più risalto a band che non hanno una grandissima visibilità né ancora un vasto seguito. Di certo è stata una scelta dolorosa, è un mettersi in gioco, un rischiare di più, anche perché questa nuova generazione musicale, non ha ancora il nostro percorso, non sono ancora sereni e non è così automatico il comunicare con loro senza incorre in qualche difficoltà.
Certamente questa opzione porta a perdere una parte di pubblico, come dicevo prima poco curioso, ma il festival perderebbe senso e forse morirebbe senza questo rinnovarsi.
3. Una domanda sulla scaletta di ieri sera…su 11 brani 3 cover e 3 nuovi brani come mai? Mi sembra una scelta insolita.
Ogni cosa che facciamo genera domande….siamo di certo contenti e fortunati di tutto l’interesse che creiamo. Sai, tal volta se metto due volte la stessa camicia, e non sto scherzando, mi incominciano a chiedere come mai non ho camicie di ricambio (risate!), e magari non si pensa che possono esistere due paia di camicie rosse due paia di pantaloni neri… a parte la divagazione, ti devo dire che siamo andati avanti due anni e mezzo con il tour di “Quello che non c’è”, io ho davanti a me una decina di scalette diverse l’una dall’altra, ma la gente non se ne accorge perché ci vengono a vedere così spesso, che non nota i cambiamenti. Infatti ogni anno più o meno facciamo 120 date in Italia, è una cifra enorme, la gente ti vede anche 12 volte nell’arco dello stesso anno, sanno a memoria tutti i testi e quello che succederà; è molto difficile essere quindi sorprendenti. Proprio nel tentativo di stupire abbiamo deciso di introdurre brani nuovi e cover che ci piacevano e che probabilmente riutilizzeremo in futuro. Questo spesso crea polemica perché ci sentiamo dire “…. ma perché al Tora Tora Festival per così poco tempo non fate i pezzi più famosi….” Pensa che quando abbiamo fatto solo i pezzi più con cosciuti siamo stati criticati proprio per questa scelta!! In verità noi non ci siamo mai preoccupati troppo di soddisfare il pubblico, ci curiamo egoisticamente di curare più noi stessi. Nello specifico, per quanto riguarda ieri sera posso dirti che gli Afterhours avevano voglia di fare QUELLE canzoni!
4. Esiste un concetto di ricerca dietro alle vostre realizzazioni?
Io non ho mai portato avanti una ricerca teorica né con la musica né con le parole. Non ho usato il Cut-up perché era “figo” o perché mi avrebbe portato a fare il ricercatore, L’ho fatto perché era un metodo per riuscire a trovare il modo giusto di cantare in italiano nel momento di passaggio. Non ho mai registrato sonorità che potessero essere ritrovate in un ambito di osservazione sonora. Non c’è ricerca, ma divertimento. La musica degli Afterhours è per il 90% canzone non ricerca! L’analisi può interessarci ma non se fine a se stessa
5. L’uscita del tuo libro, ha un filo conduttore con le liriche?
Il discorso di prima è ricollegabile a questo, nel senso che mi ritrovo a scrivere quello che ho bisogno di scrivere. Il libro risale a quando ero un ragazzino e così è rimasto; parole viste dagli occhi di un ragazzino. Rivisitare i miei scritti ora, non avrebbe avuto molto senso. Ugualmente con i testi, riesco a scrivere solamente se ho la necessità e il bisogno di dire delle cose. Questo è risultato anche un problema per il gruppo, lo scrivere di rado porta meno linfa, ma è anche una libertà che ci siamo conquistata, perché riusciamo a elaborare quando vogliamo e a far uscire dischi quando desideriamo noi.
6. Il nuovo album quale struttura avrà? Ci sarà un ritorno all’inglese?
Direi di no, sarà un album cantato in italiano per il mercato italiano. Per l’estero abbiamo deciso di utilizzare la lingua inglese. Di alcuni brani abbiamo la versione italiano e inglese, di altri solo in anglosassone. In generale sulle anticipazioni che posso darvi sul nuovo cd, posso dire che rispetto a “Quello che non c’è” è un disco più “urgente”, meno claustrofobico e scuro. Sarà un disco più leggero, non tanto dal punto di vista musicale, quanto per la leggerezza nel modo di essere suonato. Greg Dulli ha sicuramente portato in noi una certa leggerezza nel realizzare e suonare una musica non razionalizzata. Credo comunque che sarà un disco molto forte, forse il più bello degli After, anche per la istintività con la quale lo abbiamo creato.
7. Come è nata la collaborazione con Dulli?
Credo che tal volta le cose accadono per una serie di coincidenze che non si possono programmare. Nel caso di Dulli ci siamo conosciuti ad un matrimonio di un amico in comune, abbiamo iniziato ad ascoltare l’uno il materiale dell’altro sino poi a suonare assieme a febbraio e poi arrivare alla vera e propria collaborazione. Gli abbiamo chiesto di produrre il disco e non solo; infatti ha partecipato attivamente, suonando e componendo con noi. Nonostante ora si sia trasferito nuovamente nell’orbita dei Twilight Singer, come tastierista credo proprio che il prossimo anno sarà con noi per alcune date degli After. Con Dulli è un rapporto meraviglioso, uno scambio continuo che fa si che nuovi orizzonti artistici si aprano in modo naturale, una crescita continua anche a 38 anni
8. Legandoci ancora alla scaletta di ieri ho notato ben 4 brani da “Hai paura del buio”, reputi quello l’album migliore degli Afterhours?
In realtà la scelta è dovuta al fatto che per molto tempo non avevamo più voglia di proporre alcuni brani, perché saturi di essi. In realtà, mai razionalizziamo la scaletta, pensando quanti brani sono estratti da questo o quel disco. Nel caso di ieri brani come “Dea” o “Veleno” erano canzoni che non suonavamo da una vita. Se oggi comunque mi chiedi quale è il mio album preferito di dico ancora “Quello che non c’è”, del quale ascolto tutto, dall’inizio alla fine senza skippare nulla. Tra le altre cose il prossimo disco sarà sulla falsa riga del precedente per quanto riguarda il formato (intorno ai 45 minuti) simile ai vecchi vinili.
9. Da “Non è per sempre” in poi, ho notato da parte di una settore della critica, una sorta di chiusura nei vostri confronti, come se foste accusati di esservi commercializzati, cosa ne pensi?
La mia risposta sincera è non me ne frega nulla!
10. Come è nata la collaborazione con Chiesa per la realizzazione della colonna sonora di “……..”? la scelta del brano degli Area “Gioia e Rivoluzione” è stata imposta dal regista o se è stata una vostra scelta?
È stata scelta dal regista, non è stata imposta. Guido Chiesa ci ha proposto questo brano anche perché risultava essenziale per lo svolgimento del Plot raccontato. Ad ogni modo “Gioia e Rivoluzione” è la più “canzone” tra quelle degli Area, riadattabile alla nostra maniera; altre probabilmente, non avrebbero avuto lo stesso effetto. Guido ha voluto gli Afterhours come tali, non come cloni degli Area, anche perché forse non saremmo stati in grado di rifare la grandezza della band.
11. Avete anche proposto un brano di De Andrè e uno di Fossati, copme è nata quest a scelta?
La scelta di Fossati risale ad una richiesta di partecipare ad un tributo ad Ivano, artista che ho sempre ammirato molto come paroliere, veramente notevole, anche se non sono stato mai conquistato dagli arrangiamenti. Sarei curioso di vedere come risultano le sue canzoni suonate da altri, ma questa è una curiosità che avrei su alcuni brani di artisti come Mina e Patti Pravo. Abbiamo accettato la sfida con “ La canzone popolare”, che ci è stata permessa di suonarla alla nostra maniera e così è stato. Per quanto riguarda De Andrè il discorso è diverso; ci erano state proposte canzone diverse, ma la scelta è ricaduta su “La canzone di Marinella” che per me ha un significato particolare….mia mamma spesso me la cantava da piccolo. L’idea di farne qualcosa di teutonico, funereo ci piaceva, molto simile ad qualcosa degli einsturzende neubauten.
Il tempo è scorso veloce l’onore e l’onere dell’intervista termina qui con l’augurio di rivederci tra un anno ancora all’ombra della lanterna.