From progressive to revelation: la storia dei Genesis capitolo 3

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I prodromi del successo

Ma il gruppo è ancora vittima di defezioni: importante quella di Anthony Phillips (artefice, con il suono della sua chitarra a 12 corde, delle belle atmosfere pastorali dei primi Genesis – ricomparirà qualche anno dopo con una produzione solistica curiosa ma marginale) e fondamentale (soprattutto per le conseguenze future) quella del batterista Mayhew.
Si fa ricorso ai canonici annunci sulle riviste musicali e, in poco tempo, i due transfughi vengono rimpiazzati dal chitarrista Steve Hackett e dal batterista Phil Collins.

La chitarra liquida, sognante e placidamente descrittiva del primo e il drumming ipervariegato e delicatamente potente del secondo contribuiranno – accanto ai testi sempre più immaginifici e provocatori e alle innovative performance recitative di Gabriel, alle validissime e multiformi capacità tecniche e compositive di Banks (vera mente musicale del gruppo) e al solido collante ritmico, armonico e melodico di Rutherford – a far entrare i Genesis, a pieno titolo, nella storia del rock.

La nuova formazione registra NURSERY CRYME (pubblicato nel novembre del 1971).
L’album, pur piacevole, è discontinuo: accanto ai notevoli risultati creativi di “The musical box” e di “The fountain of Salmacis” ci sono ancora alcune ingenuità e talune atmosfere appaiono non ancora perfettamente calibrate.
Nei testi Gabriel comincia ad indagare il mondo onirico dei miti e delle fiabe con lucidità partecipativa e ironica al tempo stesso, mentre le sonorità si immergono completamente nel contesto progressive.

La splendida, multiforme e inquieta suite “The musical box”, accanto ai brani lunghi “The return of Giant Hogweed” e “The fountain of Salmacis” e alle ballate “Seven stones” e “Harlequin” dettano le coordinate di quello che sarà il classico suono Genesis, suono che arriverà ad esprimersi nella maniera più compiuta nei successivi tre dischi: atmosfere che indugiano tra il malinconico e il drammatico, forti cariche di tensione che si stemperano in bagliori di meditata serenità, il tutto immerso in un paesaggio romantico che media costantemente tra l’arditezza delle strutture di arrangiamento e una dolce melodia mai dimentica della sua originalità.
Piccola curiosità: nella breve “For absent friends” la voce solista è quella di Phil Collins…

Preceduto dal poco efficace singolo “Happy the man / Seven stones” (maggio ‘72), a ottobre dello stesso anno esce il nuovo album, FOXTROT, primo vero caposaldo della loro carriera.
La copertina (come già quella di NURSERY CRYME) trasmette una misteriosa inquietudine che è quella che traspare da tutto il disco: un’onda sonora tesa e continuamente increspata dall’incerto e dal mistero che, solo apparentemente, si distende nella melodia.

Pezzo forte dell’album (e brano portante di tantissime esibizioni live, dove il carisma scenico, i travestimenti e le capacità mimiche di Gabriel trovano un incondizionato favore da parte di critica e pubblico) è la suite “Supper’s ready”, spettacolare e magicamente coesa: occupa un intero lato del disco e riassume in 23 minuti l’intero scibile Genesis, dagli scenari teneramente romantici alle impennate poderosamente elettrificate, dalle lande sognanti intrise di stupito surrealismo agli impatti perentoriamente solidi con una realtà intrigata e intrigante.

“Supper’s ready” è veramente uno dei monumenti del suono progressive (oltre che, ovviamente, una pietra miliare del grande rock) con quell’incedere sornione e maestoso, giocherellone e solenne al tempo stesso, ma non sfigurano le lunghe e ritmate “Watcher of the skies” e “Get’em out by Friday” (caratterizzate da lucidi cambi di tempo e da arrangiamenti felicemente e ruvidamente rock – anche se i brani inclinano, in certi passaggi, verso un eccesso di melodia) e le due belle canzoni (progressive rock songs nel vero senso della parola) “Time table” e “Can-utility and the coastliners”: insomma, un grande prologo ai due dischi che verranno…