From progressive to revelation: la storia dei Genesis capitolo 2

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Gli inizi

I Genesis nascono ufficialmente nel 1967: i fondatori sono Peter Gabriel (voce solista, flauto, percussioni), Anthony Banks (tastiere di tutti i tipi), Michael Rutherford (basso e chitarra acustica) e Anthony Phillips (chitarra elettrica ed acustica), coadiuvati alla batteria da Chris Stewart.
Tutti sono allievi della Charterhouse (un austero college del Surrey) e tutti provengono da altre band giovanili dedite alla riproposizione di classici dei Beatles, dei Rolling Stones, del blues, del jazz e del soul.

L’esordio discografico avviene, grazie al produttore Jonathan King, presso la Decca: sono due 45 giri, “The silent sun / That’s me” (febbraio 1968) e “A winter’s tale / One-eyed hound” (maggio 1968) (questi brani sono rintracciabili nelle più recenti ristampe su cd del primo album).

Quest’ultimo esce nel marzo del 1969 ed è in linea con altre pretenziose escursioni concept del periodo, a partire dal titolo, FROM GENESIS TO REVELATION, e proseguendo col contenuto, di tono vagamente biblico e ieratico.
Musicalmente, a parte un’ingombrante sezione fiati, il disco è in pesante debito con le contemporanee esperienze dei Moody Blues e dei Barclay James Harvest, anche se, in nuce, è possibile cogliere delicati e piacevoli spunti melodici che faranno la fortuna artistica e commerciale dei Genesis successivi.

Il disco, pubblicato incredibilmente senza il nome del gruppo in copertina, ovviamente non vende niente e i nostri, per un pelo, non decidono di tornarsene definitivamente ai loro studi.
Ma un vecchio amico della Charterhouse, Richard MacPhail, impressionato dalle loro capacità compositive e strumentali (espresse incompiutamente nell’esordio), li incoraggia anche finanziariamente e li spinge a continuare.
Nel frattempo alla batteria Stewart è stato avvicendato da John Silver che, a sua volta, prima delle registrazioni dell’album successivo, lascia il posto a John Mayhew.

Il nuovo disco, TRESPASS (edito – come i successivi – dalla storica etichetta Charisma, proprietario della quale è Tony Stratton-Smith, uno dei primi del mondo discografico inglese a credere ciecamente alle doti del gruppo), viene pubblicato nell’ottobre del 1970 e mostra, rispetto al predecessore, una consapevolezza considerevolmente accresciuta dei mezzi sia lirici che musicali, accanto ad una più convinta ed efficace adesione ai moduli espressivi tipici del progressive.

L’album non è un capolavoro, ma non ci va molto lontano: è vero che i brani risentono ancora di influenze esterne (le stesse del primo disco cui si sono aggiunte quelle dei Van Der Graaf Generator di Peter Hammill – che pubblicano in quell’anno due interessanti album, THE LEAST WE CAN DO IS WAVE TO EACH OTHER e H TO HE WHO AM THE ONLY ONE, e che produrranno nel 1971 il loro capolavoro, PAWN HEARTS), ma è anche vero che risalta sempre più una certa lucida autonomia creativa (evidente nei brani migliori, “Looking for someone”, “White mountain”, “Visions of angels” e la conclusiva, irrefrenabile, “The knife”).

Inoltre le doti vocali (che tanto, comunque, devono ai timbri neri di Roger Chapman, perentoria voce dei Family, gruppo purtroppo sottovalutato, ma in grado di produrre, nel 1969, un capolavoro come FAMILY ENTERTAINMENT) e da front-man di Gabriel stanno progredendo in maniera sostanziale.
Le cose, quindi, cominciano a funzionare…