Duran Duran

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Se nel 1985, come Martin McFly, fossi tornato dal futuro e mi fossi detto …”tu andrai nel 2005 ad un live dei Duran Duran”, avrei forse chiesto un internamento!!…invece incredibilmente mi ritrovo insieme ad altre 3499 persone, ad assistere alla tappa genovese di “Astronaut tour”, fortemente voluta dall’organizzazione Grandieventi , che proprio oggi inaugura un calendario fitto di date e appuntamenti di grande risalto.

Varco i cancelli, mi guardo attorno e mi rendo conto che proprio non appartengo a coloro che fremono per l’attesa, il mio sguardo è forse più curioso, che sentimentalmente coinvolto. Sotto il palco, già dalle prime ore del pomeriggio, si assiepano cricche di ragazzine che si affiancano a coloro che erano teenager ai tempi di “Rio”. Molti i fidanzati costretti a presenziare dalle loro dolci metà, moltissimi coloro che rivivono brividi passati. Oggi quei fremiti, prendono il posto di quelle lacrime versate per il quintetto di Birmingham, ancora oggi molto seguito. Lo show ha inizio attorno alle 21.30 quando Simon Le Bon, classe 1958, si presenta in una glamour version, scortato dall’ovazione del pubblico e dai suoi quattro musicisti. La sensazione che è emersa nel momento in cui la band è apparsa è stata simile a quella provata vedendo il Filthy lucre tour dei Sex Pistols, che qualche hanno fa hanno voluto un reunion tour. Certo il tempo trascorso da Rotten lontano dai Pistols è più dilatato rispetto al vicino 1999 di Pop Trash, ma la tenerezza e travaglio che ne esce è molto simile. Ma tutto questo, poco importa a chi vuole rivivere memorie adolescenziali… “la musica è tra noi” come ci suggerisce l’introduttiva “Reach up for the (sunrise)” singolo dell’ultima fatica dei Duran, seguita a ruota dalla coinvolgente “Hungry like a wolf” in cui sonorità tipicamente new age si mescolano a solchi di easy rock.

Poco dopo, le note di “Planet heart”, vengono complementate da giochi di luce rosa, e mentre la band si esibisce di fronte ad un accalorato pubblico, arriva sul palco un enorme torta; Le Bon invita il pubblico ad intonare “Happy Birthday” per il bassista John Taylor vestito alla Adam Ant, che appare realmente sorpreso della trovata scenica.

Il tuffo nel presente continua con la delicata “What happens tomorrow” e“Astronaut”, durante la quale appaiono sui quattro pannelli luminosi, presenti alle spalle della band, frammenti e immagini che ricordano il tratto di Oesterheld e Lopez e del loro eternata. I brani dell’ultimo disco risultano, anche dal vivo, obbiettivamente interessanti, con la loro mistura di tecno dance, pop rock e funky essenziale, figlio di Notorius, album prodotto e promosso dall’ex Chic Nile Rodgers. Il concerto vola via veloce tra le attese “The Reflex”, in cui emerge il suono suadente del sax e “The Chaffeur”, durante la quale il front man si presenta in tenuta da conducente d’alta nobiltà.

Il vertice del live, però, arriva solo con la toccante “Ordinary world” e l’antica “Save a prayer” cantata, come all’arena di Verona, dalla sola voce di presenti. Mentre c’è chi tra il pubblico imbraccia fotocamere digitali, telefonini e addirittura binocoli, per vivere ancor da più vicino l’evento atteso tanti anni, il concerto si protrae con la hit di quel mondo paninaro di inizio anni 80, “Wild boys” in cui però, Simon si prova, con alterne fortune, nelle movenze che il video di allora ha immortalato nella nostra mente, mostrando così, il tempo che passa inesorabile anche per chi ancora oggi riesce a fare impazzire ragazze di ogni età.

Sono le 23.00 passate, la band rientra dalle quinte per il gran finale “Girls on film” e “Rio” in full-lenght version, che sancisce la conclusione di un live durante il quale i fans hanno perdonato sia una falsa partenza durante “Union of the Snake”, sia una scadente performance di Roger Taylor alla batteria, che ben poco lascia ai posteri. Insomma uno spettacolo che vive ancora oggi sul sex appeal di Le Bon e la bravura di John Taylor, unita, in questa nuova era, all’ugola sublime della corista Anna, vero e proprio valore aggiunto ad una band, che ha dimostrato di alternare paradossali proiezioni di se stessa, alla capacità di costruire qualcosa di nuovo