Daniele Silvestri
Climax, sostantivo maschile: figura retorica consistente in un graduale passaggio da un aspetto all’altro, via via più intenso.
Avete la sensazione di aver sbagliato pagina? No assolutamente no, questa volta il concetto di climax non fa riferimento al Macchiavelli o al Manzoni, ma a Daniele Silvestri e al suo concerto torinese. Uno spettacolare live, partito in sordina con un intimidito cantante, poi resosi protagonista di uno strepitoso viaggio nella musica pop rock contemporanea.
Il concerto viene aperto da una coppia di DJ di radio Manila che ricordano l’aspetto benefico della serata, raccontando il grande impegno dell’Associazione Umanista “Cultura mista”, che si occupa di creare basi di aiuto internazionale, portando avanti progetti di sviluppo in Senegal, Ciad, Congo, Benin e Niger.
Alle 22 circa ha inizio lo show e i circa 3000 spettatori sono immediatamente spiazzati dalla versione rivisitata di “Salirò”, che per l’occasione viene proposta sulle note di un allegro ritmo funky.
Però, nonostante le premesse, il pubblico inizia a scaldarsi solo dopo lo slide del bravissimo Maurizio Filardo, nel brano “Autostrada” e dopo il sound latino di “Il mio nemico”, accompagnato dalle note di mandolino mediterraneo.
Silvestri, stimolato dal suo festante pubblico, si dimostra abile musicista, riuscendo a virare dai ritmi elettro-pop di “Voglia di gridare”, al sound caraibico di “Sempre di domenica”, passando attraverso le influenze stoner di “Libero” e il jazz di “Banalità”, che si avvicina molto alle liriche del maestro Paolo Conte.
Il concerto prosegue fluido con il dolce canto d’amore per la città della Mole, con i travolgenti riffs di “Datemi un benzinaio” e il classic blues di “Samantha”, in cui viene evidenziata ancora una volta una innata vena ironica del cantautore. Sul medesimo stile divertito sono brani come “Domani mi sposo” e “Testardo” recitate istrionicamente o il sapore retrò di “1000 euro al mese” cantata in quasi impeccabile dialetto barese.
Uno spettacolo colorito, che regala anche sprazzi di indimenticabile originalità, come ad esempio la performanche fornita da Ramon, percussionista-trombettista cubano, che oltre a sfoggiare una voce alla Armstrong, delizia i fans con un incredibile assolo di tromba che introduce l’atteso bis aperto con la venusta “Aria” perfettamente teatralizzata da giochi di luce verticali, capaci di simulare un’enorme cella di una buia prigione. Il pathos viene poi ammorbidito dal canto rivoluzionario di “Cohiba” e da una stravagante jam session, in perfetto stile africano, con i 6 componenti della band in veste di percussionisti, 12 bacchette capaci di ricreare una sonorità unica e travolgente.
Quando tutto sembra destinato alla conclusione, ecco il secondo bis di un lungo e ricco concerto, fatto di buona musica, divertissement e trovate sceniche alquanto efficaci, come ad esempio il riproporre in playback “Salirò” nella sua versione da studio, per permettere a tutti i componenti della band di mostrare le loro disastrose capacità di ballerini, nell’inutile ricerca di emulare l’inimitabile Lando.