Zen Circus “Canzoni contro la natura”, recensione
Sono tornati. Gli Zen Circus sono tornati.
Da qualche settimana, infatti, il folk-punk-alt trio pisano, ancora licenziato da La Tempesta Dischi, arriva a noi con l’ottavo album (terzo in lingua madre) della loro vitale discografia. La band, nata dalle sensazioni Husker du di Zen Arcade e Metal Circus, torna dopo le riuscite parentesi soliste, che, a detta di molti critici, hanno rappresentato piccole grandi sorprese dell’indipendenza musicale nostrana (Appino e La notte dei lunghi coltelli). L’ensemble, ancora legato alla promozione Lunatik, con questa ultima fatica ha voluto concretizzare il groove e l’energia che da sempre accompagna la band, pronta a mostrare il proprio lato D.I.Y.
Il disco, più che mai in stile, sembra voler reificare gli umori metropolitani verso una concretizzazione paesaggistica e suburbica, attraverso storie raccontate con acume e criticità sociale, dalle quali emerge una natura soppressa e posta sull’orlo di una ribellione alquanto distante dalle intuizioni filosofiche di Cartesio.
Le dieci tracce, se ancora ce ne fosse bisogno, sembrano voler sottolineare, grazie alla loro anima compositiva, un gruppo in salute, lucido e a tratti provocatorio, che mostra i propri denti a prescindere da tutto e da tutti (ricordate Andate tutti a Fanculo?) , senza voler inseguire moralismi o surreale etica rigorista.
Il disco, curiosamente legato al precedente dalla splendida Postumia, sembra voler raccontare l’uomo attraverso personaggi osservativi e per certi versi persi in una natura con la quale spesso non si dialoga. Un andamento che tra le sue note cela rigurgiti punkettoni e post grunge (ascoltate il passaggio di basso in No way), striature new wave (Albero di tiglio) e curiosi incroci tra country stornellesco e inattese sonorità surf (Vai Vai Vai!,) che si concretizza tra tremolii e sensazioni tardo sixty nella fuorviante Dali. Le tracce, spesso impreziosite da una precisa sezione ritmica, giungono a ad una spensieratezza armonica (tra una Favola antica e un Deandriano Pescatore), con L’anarchico e il generale, brano che sembra trovare i fulcri iniziatici di un fil rouge, che ci porta tra le trattazioni ungarettiane, pronte a fungere da corollario alla titletrack.
Un disco, dunque, che ritrova molti punti di riferimento (De Gregori, Rino Gaetano, De andrè…), senza però mai perdere l’equilibrio che la band sta curando nel suo voler essere.
1. Viva
2. Postumia
3. Canzone contro la natura
4. Vai vai vai!
5. Albero di tiglio
6. L’anarchico e il generale
7. Mi son ritrovato vivo
8. Dalì
9. No Way
10. Sestri Levante