Yellowtooth “Crushed by the wheels of progress”, recensione

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Qualche settimana addietro, nelle surreali camere di decompressione create da facebook girava quest’immagine:

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Una volta osservata, ho sorriso e poi mi sono detto: “Quanto è imprecisa!”. L’immagine non considerava una serie di generi infinita. Dove sta il Depressive Black metal? E il Suicide? Si sono dimenticati del Brutal, dello Slamming, del Grindgore, del PornGrind così come molti altri generi, tra cui il cosiddetto Sludge Metal (o sludge doom metal). Il genere in questione nasce con una propria forte identità dalla sinergia espressiva di Doom metal e Stoner, senza dimenticare le ardite spezie hc-punk.

Quelle tipiche atmosfere ammorbanti e malsane tornano tra le nostre pagine grazie ai Yellowtooth (monicker peraltro azzeccatissimo).

La band natia di Michigan City torna alle stampe con un ottimo lavoro, granitico, vibrante e privo di ombre. Ancora una volta il full lenght è marchiato Orchestrated Misery Recordings, abile nel restituire ai fan un’opera aggressiva e ricca di cromatismi nereggianti in cui perdersi. Un’inquieta ambientazione, perfettamente metaforizzata dalla riuscita cover art della Moon Ring Design, in grado di attrarre l’ascoltatore in un mondo inospitale, deflagrato da sonorità rudi e ricche di vigore insalubre.

Un sparo.

Dal fumo nascono e crescono le note graffiate di Meet Mr. Mossberg, in cui la voce di Peter sembra nascondere reminiscenza del Peter Steele nel suo periodo Carnivore. I cambi di direzione e l’andamento tipicamente sludge devia sui primordi del doom, accompagnato dall’addition backing vocals di Aaron Mote e da visioni oscure, imperlate di dolore e paura. La stessa paura che viene richiamata dal suono lontano di un minaccioso elicottero che apre al riff stoner, pronto a raccogliere i graffi vocali e le distorsioni chitarristiche, per poi calmierarsi nell’incipit di Season’s end. La traccia appare in grado di restituire al meglio un’atmosfera slow, in cui le profondità espressive si avvicinano alle peculiarità dei migliori Black Label Society. La lunga performance riesce però a modificare il suo iter attraverso modulazioni agogiche, perfette nel ricreare un pattern battente e micidiale, vortice metaforico di un’argomentazione pronta a ricalcolarsi attraverso il Manifesto della band. La traccia, introdotta da un sampler “radiofonico”, funge da atto d’entrata di uno tra i migliori passaggi dell’intero disco, in cui La voce del frontman si arrampica verso influssi Piotr Wiwczarek, lasciando enclave sonore nebbiose ed estese quanto l’overture di Spiral Stairs, marcia distorsione diluita nella pece.

Se poi con Before i return to dust le sonorità tagliate tornano a Zack Wylde e Mark Greenway, con Virginia Creeper si incontrano inusuali spezie southern, qui raccontate da passaggi alla sei corde e impennate rock’n’thrash, che ben si amalgamano al mondo ricreato da Crushed by the wheels of progress, grazie alla quale la colante oscurità doom avvolge l’ascoltatore attraverso passaggi crudi e degni di essere annoverati tra le sonorità meglio assestate di un disco sorprendente.