Wrecking Ball – Bruce Springsteen. Recensione cd
È passato poco più di un anno da quando, recensendo “The Promise” per le pagine virtuali di questa rivista, evidenziavo le parole scritte dal Boss sul libretto del disco, nel quale confidava che ha sempre amato “scrivere canzoni dure per persone nelle condizioni più dure”.
Anche per “Wrecking ball”, che da più voci viene già definito come uno dei suoi album più politici, la “condizione” presa in analisi è decisamente quella attuale che, come noto, pone le sue radici negli anni 2009/2010 nei quali la società americana ha dovuto affrontare l’incubo dello specchio. Si tratta di uno dei peggiori, soprattutto quando nel riflesso non si riesce intravedere la faccia gioiosa dell’american dream, ma piuttosto l’immagine di un sogno infranto, a causa della voracità dei potenti e degli uomini di affari , “grazie” ai quali anche noi europei stiamo vivendo giorni fra i più difficili della nostra vita. Al tal riguardo, credo proprio che il titolo sostanziale del disco possa essere “This depression” (pezzo piazzato non a caso nel bel mezzo della track list e sintesi tematica dell’intero album).
Come sempre Bruce Springsteen si lancia in questa “cronaca dei giorni nostri” facendolo a modo suo, sia musicalmente sia nell’impostazione delle sue storie. Per il suono si è affidato sempre alla sua band, ma mai come questa volta le differenze col passato (non foss’altro per la mancanza dell’imponente presenza, sia umana che professionale, del compianto sassofonista Simmons) risultano evidenti. Alla produzione invece ha voluto Ron Aniello che certamente ha molto influito sulla (sovr)abbondanza e sulla stratificazione degli strumenti (in poche parole dimenticatevi i pezzi di scarno e puro folk alla “Nebraska” o alla “The ghost of Tom Joad”) che fanno da sfondo alla voce di Springsteen. Fra questi, non c’è dubbio che trombe, sax e violini abbiano preso il sopravvento un po’ su tutto.
Nelle sue storie invece gli piace ancora una volta immedesimarsi con personaggi che la realtà l’hanno vissuta davvero, siano esse vittime evidenti del sistema (“Jack of all trades”) ma anche persone che apparentemente passano per carnefici (ricorderete “Paradise”, da “The Rising”), salvo poi realizzare che anch’essi hanno finito col seguire la strada sbagliata, solo perché inseriti in una macchina più grande di loro. È il caso di “Easy Money” dove, una coppia in verosimile crisi finanziaria sta andando a rapinare qualcuno “giù in città”, con sarcastica allegria e vestita a festa.
Da evidenziare, poi, il fatto alquanto raro che nella la title track l’autore racconti direttamente la sua storia personale fatta di stadi (il Giants stadium nel New Jersey) e di palle da baseball lanciate al fulmicotone (“Wrecking ball”…appunto). La parabola sportiva è chiaramente una scusa per parlare della vita, inneggiando alla speranza e alla necessità di superare con coraggio i tempi duri che, inevitabilmente, si succedono nel tempo come una ruota inesorabile. In poche parole il Boss invita ognuno di noi a dare il meglio di sé, proprio ora che il gioco si fa duro (“If you think it’s your time then step to the line and bring on your wrecking ball”).
Dal punto di vista stilistico, invece, non c’è dubbio che la canzone più sorprendente (in quanto a novità) è la prayer/ballad “Rocky ground” nella quale spunta addirittura un pezzo di rap che fa da coda a un coro gospel. Ma a ben vedere l’accostamento non dovrebbe sconvolgere più di tanto, visto che negli States sono proprio i rapper a saper raccontare al meglio la crudezza della realtà quotidiana alla gente della strada, tanto da potersi auto definire nientemeno che: “la CNN dei poveri” (Chuck D, dei Public Enemy).
Il finale (bonus track a parte, si intende) è emblematicamente affidato a un titolo di rivalsa sul male dei mali (la morte), e che in fin dei conti parla di resurrezione. I riferimenti sono a tinte forti, come la croce ed il calvario o la tomba di un bambino, ma l’andamento festoso con tanto di banjo e coro, fa da cornice alle parole di tutte le persone che ci hanno lasciato:“We are alive and though our bodies lie alone here in the dark our spirits rise to carry the fire and light the spark to stand shoulder to shoulder and heart to heart”. Una sorta di bignami dello Springsteen pensiero.
Tirando le somme possiamo dire che questo nuovo cd esce un po’ dai binari di quanto già sentito dal Boss e pur non raggiungendo le altezze dei suoi album più significativi, resta un’ottima prova, ponendo certamente delle solide basi per un futuro artistico ancora di altissimo livello.