Wonderful Crazy Night – Elton John – recensione cd
Colgo l’occasione per una premessa personale.
Odio recensire dischi che non mi emozionano.
Lo riconosco come un limite, ma è più forte di me: trovo noioso scrivere di musica che non sia all’altezza e credo che, in fin dei conti, risulterebbe altrettanto tedioso anche per chi legge.
E così, di fronte a questo nuovo lavoro di Sir. Elton ho esitato a lungo perché non riuscivo a capire se fosse meglio passare oltre, oppure valesse la pena dedicargli un po’ di tempo, segnalandolo alla vostra attenzione. Il motivo principale di tale dubbio è che in tutto il disco manca la zampata, la hit da classifica (almeno una) che possa non dico competere con i pezzi storici (quelli sono irraggiungibili), ma almeno andarci vicino. Secondo motivo: la sua voce è radicalmente cambiata, perdendo perfino qualche tono rispetto agli ultimi dischi che già portavano i segni di un inesorabile declino, confermato ulteriormente all’ultima esibizione sanremese.
A questo punto vi chiederete, legittimamente, se ho deciso di violare il succitato ed autoimposto principio, oppure ascoltando e riascoltando “Wonderful crazy night” non sia scattata, come dire, qualche scintilla. Ovviamente la risposta giusta è la seconda in quanto, seppur con i limiti del caso, si tratta comunque di un disco valido.
Per la terza volta di seguito l’autore di “Your song” si è fatto dare una mano in fase di produzione da uno come T-Bone Burnette che sa come vestire un pezzo cucendogli, un po’ ovunque, ritagli di stoffa colorata a stelle e strisce. Infatti, come già accaduto diverse volte nella sua lunga carriera (“Tunblweed connection”, “Captain Fantastic and the brown dirt cowboy”, “Sleeping with the past”, tanto per citare i dischi più importanti) Elton John ha voluto dare un suono americano ad un suo album, anche per verosimili motivi commerciali. Per quanto riguarda il mood invece, è radicalmente diverso dal bellissimo precedente “The diving board” che era pieno di ballate per piano/voce, là dove “Wonderful crazy night”, coerentemente con la sua copertina piena di colori, ci mostra il lato dell’artista più allegro e festaiolo.
Fra i pezzi più interessanti, i cui testi sono tutti fortunatamente ancora firmati dal sodale Bernie Taupin, segnalo serenamente “Claw hammer”, un’uptempo spensierato e corale, suonato alla grande da tutta la band (pensate c’è ancora Davey Johnstone) ma dominato dal suono del piano e dell’organo che si mischiano piacevolmente. “Blue wonderful” – primo singolo – è una cullante ballata che progressivamente prende più energia e presenta più di un’eco folk, proprio come la seguente “I’ve got 2 wings” che racconta la vita di un chitarrista americano nostalgico della sua fiammante Gibson e della sua terra, la Luisiana. Il criterio scelto per la track list tuttavia sembra essere stato quello del dulcis in fundo visto che le canzoni regine, dalle melodie incantevoli, sono state piazzate proprio alla fine: “Tambourine” e “The open chord” – piene di chitarre elettriche ed acustiche. Entrambe ci ricordano come già in passato brani minori dell’artista inglese avrebbero meritato di essere maggiormente apprezzati (penso a “Latitude” in “Made in England” o “The weight of the world” in “Peachtree road” oltre a molte altre del passato), mentre in realtà solo i fan più accaniti le conoscono.
Insomma, Sir. Elton avrà perso anche lo smalto della sua golden age, ma non ha smarrito totalmente la via e ha pubblicato ancora una volta, un album più che dignitoso che vale la pena godersi soprattutto quando l’umore è un po’ giù e si ha bisogno di rallegrarsi con della buona musica d.o.c. d’oltre manica.
PS: “England and America”, che chiude l’edizione deluxe, è un bel pezzo rock che vale la pena ascoltare in auto, magari in una compilation monografica amarcord, piazzata vicino alla stratosferica “Saturday night’s alright for fighting” (è vero… altri tempi, altra voce altra storia…ma stiamo parlando di uno degli ultimi grandi).