Wallace Records…Ultime novità per gennaio 2009
Bachi di Pietra
Si dice che il terzo album rappresenti per gli artisti d’ogni genere un vero e proprio banco di prova, che può definire una consacrazione o un ritorno nell’oblio. “Tarlo terzo”, ultima (e terza) opera del duo Dorella-Succi, sembra voler confermare il talento compositivo dei Bachi di Pietra, riprendendo il discorso iniziato con “Tornare nella terra”. La chiusura di questa cupa trilogia, conferma ogni comprovato aspetto dei due precedenti abiti musicali. Ancora una volta l’intellettualismo ermetico delle liriche si amalgama a ritmi industrial ossessivi, che lasciano aperta la porta dei più riflessivi pensieri. Il sound è quello di sempre, tra i mutismi recitati (“Servo”) e le lacrusiane infiltrazioni (“Il mestiere che paghi per fare”).
Tra i brani più convincenti è da annoverarsi “Lina” con la sua espressività notturna e a tratti retrò, che si unisce al meglio alla desertica e visionaria “Tarlo della sete” e al bukoskiano noir narrato da “I suoi brillanti anni 80”, in cui la voce di Giovanni si fa ancor più fonda e drammaturgica. La posata oscurità riemerge con “Seme nero”, metaforico viaggio nel malessere contemporaneo, tra i piatti tremanti e le basse e cicliche note. Non mancano poi tracce di industrial depressivo in “Andata”, con i suoni neri e schizofrenici, né il nichilismo minimalista espresso in “Dal nulla nel nulla”, agitata lirica che anticipa la chiusura della frastornante di “Per la scala del solaio”, traccia di pura sussurrata follia caustica.
Un disco notevole che va goduto, ascoltato e vissuto, perché “c’è molto di più di quel che potrai vedere..” . Un disco che non tradisce le attese, riuscendo a proseguire il difficile percorso che Bruno e Giovanni hanno deciso di perseguire assieme alla Wallace records.
Mulu
Mulu rappresenta la concretezza di un combo-project nato nel 2005 dall’incontro tra due giovani fanciulle di nome Marilù e Luisa, le quali, dopo due Extended Play (“Variante Ascari” e “ Acque minerali”), hanno avuto la fortuna di incontrare Mr. Xabier Iriondo. Proprio grazie alla supervisione artistica di Xabier e grazie alla sapiente regia produttiva di Mirko Spino della Wallace Records, oggi possiamo godere di questo primo full lenght delle Mulu. Il disco si dipana attraverso nove tracce alquanto interessanti, capaci di offrire sonorità particolari, attraverso l’utilizzo di inusuali strumentazioni quali groovebox, horn, toys, loops ed ulteriori effetti di svariata natura. Nonostante tutto, però non dovrete attendervi un disco noise d’improvvisazione; infatti, l’ecletticismo musicale si allinea alla dolcezza della doppia voce, ben sviluppata tra pianoforte, fiati e chitarra. Gli accenni di rumorismo kraut di “Stanza 15” e “Stanza 1” e il free indie di “Opale”, si contrappongono alla mitezza post rock di “Lavinia’s boat”, e se da un lato esiste la ricerca di un minimalismo ridondante, è anche rintracciabile in “Garage bleu” un attento sviluppo musicale tra space echoes (“Melonhead”) e alt-pop (“Happiness”).
Ultravixen
Proprio ultimamente ho avuto la possibilità di riscoprire uno dei registri maggiormente sopravvalutati del cinema underground degli anni sessanta-settanta, tal Russ Meyer e le sue “ipertettute” Vixen. Dopo molti anni, un trio di musicisti catanesi ha deciso di omaggiare Meyer, depositando alla Siae il nome di una neonata band: Ultravixen. L’ensamble musicale darà alle stampe “Avorio erotic movie” proprio con l’inizio del nuovo anno; l’album, ascoltato in anteprima, sembra far trapelare striature garage-punk e sporco r’n’r, attraverso le liriche di Alessio Edy Grasso, voce e chitarra del trio.
Il debut album si apre con la disturbata “You You You”, tra rock and roll old style e una sezione ritmica tendente al noise. Il groove iniziale evolve verso un sound grezzo e granuloso che ben si collega alla seguente “The akille’s hell”. Quest’ultima rappresenta l’essenza di un garage punk coinvolgente ed eruttivo, molto vicino alle sonorità dei Fu Manchu, come confermano la sudicia e tirata “Bit Bluff” e la trainante “Lolita”, brano che forse meglio sintetizza l’essenza degli Ultravixen. Non mancano inoltre accenni post-grunge come in “Bunny love is dead”, tanto catartica e ciclotimia, quanto ironicamente bislacca.
“Avorio erotic movie” appare sin dal primo ascolto un disco difficilmente inquadrabile, ma senza dubbio piacevole per estro e brama d’espressione.
Phonometak laboratories
Talibam!/Jealousy party sancisce la quinta uscita dell’ormai cult version series di Phonometak, etichetta-bazar di Xavier Iriondo, nata in stretta collaborazione con Mirko Spino e al sua Wallace records. Lo split album, questa volta definisce l’incontro tra la follia degenerante dei newyorchesi Talibam! e i nostrani JP, maturati sulle rive del’Arno.
Il lato Talibam! È occupato da circa tredici minuti di rabbia e malcelata stravaganza, racchiusa nel macro brano “Set in a disperate wilderness of cosmetic conclusions”, capace di raccogliere in se variegature metal, industrial, techno, noise, free jazz, prog e tribal nel giro di pochi passaggi.
Senza dubbio la partitura è dominata dal sapore genuino dell’improvvisazione, portata a vitalità da Kevin Shea e Matthew Mottel, geniali e sovversivi esecutori di un brano che molto ha a che spartire con i valori epifanici di testi filmici d’autore.
Il lato Jealousy Party è meno saporito. La band fiorentina, pur ricercando sonorità di impatto in “Devont church going family”, sembra annegare in un territorio free già in parte esplorato. Il percorso dà l’impressione di migliorare con “Castrado”, in cui l’ensamble inascoltabile (come qualcuno li ha definiti), offre un buon brano di sragionante e deviante imprò, basato su un anima blueseggiante ed uno scheletro free, che ben si sposa con l’ormai famosa cover art gialla del “Full frequency ranque recording”.