Wallace rec. Ear now +M.Coletti +Quasiviri
Wallace Records
Ear now
“Eclipse”
Una elegantissima confezione nera, nobilmente ricamata da scritte argentee e disegni astronomici, sono il basamento per una cover art cartonata, che farebbe l’invidia di Jonsi Birgisson. Ma questa volta non si tratta della genialità islandese dei Sigur Ros, ma bensì del trio nostrano Paolo Cantù, Xabier Iriondo e Alberto Morelli, che con il loro “Eclipse”, arrivano alla seconda straniante opera sonora, tra noise e postrock. Il lavoro proposto dalla sinergia di Wallace records, Rermegacorp, Soundmetak e Amiranirecords, ha le fattezze di un concept album avanguardie, che, tra musica colta e canoni free jazz, riesce a portare l’ascoltatore in un mondo parallelo, popolato dai risonanti ed inusuali suoni di harmonium, khan, bendir e molte altre acute trovate sonore.
Il disco si apre con l’introduttiva “Ssshhleeping”, onomatopeico titolo atto a definire l’entrata oltre lo specchio, al di là del quale l’uditore riesce a trovare l’epicentro di un caratterizzante mondo sonico, tra free soft noise e teatralizzazione delle sonorità dell’albeggiante brano iniziale. “Eclipse” ospita in sé composizioni audaci ed impreziosite, come accade in “Ai MOi Moi” e “Totenlob” in cui appare la voce di Rosa Corn, una delle ultime cantanti tradizionali della Valle dei Mocheni. Il “Sprechsang” della compianta artista riesce a donare ai brani un aspetto proto religioso e pseudo mistico, attraverso una cadenza pensosa, posata e meditativa, che anticipa “l’inizio dell’eclissi”.
Tra i brani maggiormente evocativi appaiono i nove abbondanti minuti di “Pairidaeza”, un echeggiante gioco soave di note aperte, che evolvono verso un decrescendo popolato da blanda nerezza compositiva, tra ridondanza protettiva e un’inevitabile concezione pantareiatica. La lunghezza della traccia cardine viene compensata dalla brevità del trittico “1000 little glowing insects will dance in the garden of eden”, che strizza l’occhio al mondo grind, non tanto per il suo aspetto musicale ma per la sua struttura, “Testa di serpente velenoso” e “Sole” che partecipano ad un percorso dicotomico tra angoscia e risoluzione.
Proprio questa alternanza di sentimenti sembra caratterizzare il lavoro dei Ear Now, che tra gli accenni di freddo industrial della titletrack e le citazioni carpenteriane di “Ritornoallleoscuremaniere” offrono un disco elegante e meno irto di ostacoli rispetto al genere che si propone di divulgare.
Mattia Coletti
“Pantagruele”
Amate l’alternative? Allora dovreste comprare “Pantagruele”!
Difficilmente mi espongo in questo modo, ma dopo aver ascoltato l’opera terza di Mattia Coletti, ho pensato che la recensione del disco avrebbe potuto benissimo essere ermeneuticamente contenuta in quell’imperativo semplice, scarno e soggettivo. Poi, pensando che sarebbe stato meglio cercare di spiegare le motivazioni, eccomi qui a scrivere l’ennesimo articolo, ma questa volta le parole arrivano fluide e sincere, spinte dalla dolce sorpresa che ho provato sin dal primo ascolto del full lenght.
Questa volta la Wallace rec. si appoggia alla collaborazione nipponica della Towntone per dare alla luce l’aggraziata prova da solista di Mattia, il quale, uscito dalla Polvere e alzatosi dalla Sedia, regala sei tracce di intensa struttura alternative.
L’overture, che prende il nome di “L’angolo rosso della civetta”, è battezzata da una sei corde gentile e posata, capace di raccontare storie di lievi note, attraverso un impolverato sentiero atto ad un lento ed allegro cammino dettato dal sapore indie alla Sufjan Stevens. La voce di Mattia attende “The bed is over the rainbow” per inseguire gli archi delle partiture in un ciclico e coinvolto groove, che vive tra cambi di direzione posizionati in overlay su loop dominanti, in grado di evolvere grazie alle percussioni di Michele Grossi, che rende il brano un ottimo collage sonoro.
In “Pantagruele” coesisto sia sentori alt-country, sia sospetti blues, nascosti nel clapping hand di “Nagano” e non mancano i free intent espressi dal clarinetto di Cantù in “Sofia Malevic”, un meltin pot sonico che, tra dolcezza e cinismo sonoro, esprime la necessità di raccontare note.
Insomma un disco che, nel suo genere, appare necessario grazie alle straripanti dosi emozionali trasmesse.
Quasiviri
“The mutant affair”
Partiamo da assioma che non tutti sanno… chi sono i Quasiviri.
La band Lombarda rappresenta un interessante progetto che unisce ironia grottesca, sonorità elettroniche tra l’infantile e l’evoluto, striature di progressive di stampo italico e stracci di “onnivorosità”. Il trio è composto dalle folli menti di Chet Martino, Roberto Rizzo e André Arraiz-Rivas.
Chet, uscito da “Lattex duello”, riesce nelle otto folli tracce a far cantare il basso a otto corde, portando nel nuovo ensemble idee e corposità esecutiva.
Roberto, voce narrante dei R.U.N.I, al Synth si diverte a trovare il lato goliardico della musicalità elettronica, donando ai brani una peculiarità tout cour.
Andrè, batterista canadese che vive di jazz sperimentale di notevole qualità esecutiva, si ritrova ad essere vera anima portante del combo milanese.
“The mutant affair”, pur essendo sezionato in diversificate tracce, ha l’aspetto costruttivo di una lunga unica suite dai differenziati movimenti, dettati dal divertissement della band che porta a pretesto il fiume di idee per realizzare un incredibile numeri di mondi intrinseci. Viaggiando sulla biga condotta dai tre folleggianti musicanti, ci possiamo ritrovare nel (quasi) punk di “The Roots of Mount Flea Anus”, nel (quasi) hard rock demenziale di “Thanks fo giving”oppure nel (quasi) elettro-pop minimalista di “Italia Forza”. Il compendio dei Quasiviri è interminabile, come in una sorta di infinito brainstormig, che vive di noise, samba, tradizione, tribal, rock, nu metal, jazz, alternative, free…
Insomma troverete tutto nei Quasiviri, tutto tranne la banalità compositiva, che comunque apparirebbe per forza di cose singolare!