Volbeat” Outlaw Gentlemen & Shady Ladies”. recensione
L’ascoltare questa nuova release dei Volbeat è stato un naturale processo di riavvicinamento a quelle note vissute attraverso l’emotività soggettiva, ormai sopite da troppo tempo. Nonostante in questo periodo siano usciti molti dischi underground di buona fattura, questo Outlaw Gentlemen & Shady Ladies è forse l’unico con il punto esclamativo. Ascoltarlo in maniera disincantata significa farsi trascinare in un vortice che innalza l’ascoltatore verso un turbinio di emotività, qui, come di consueto, legata al mondo heavy intercalato sui punti chiave verso un ben strutturato rockabilly.
Il vento danese, forte dei successi precedenti, ospita oggi la new entry Rob Caggiano, che si affianca ai tre storici membri, portando con sé la sua anima Anthrax al servizio di un disco che, pur nella sua lunghezza, coinvolge dalla prima nota all’ultima.
Un’accattivante ed inusuale mescolanza di trash, country e ’50 vibration, che avrei voluto recensire in maniera più approfondita, arrivando a definire con attenzione testi, cover art, packaging, ma per una volta l’urgenza del to share appare superare l’asticella del non si può. Così, armato di cuffie e di un raccoglitore di emozioni mi ritrovo a nuotare tra le scorribande vocali di Michael Poulsen, che assieme ad Ander e Job, forma la colonna vertebrale di una sorprendente band.
Ad aprire le note è Let’s Shake Some Dust, le cui sembianze iberiche mostrano un’ aria flamencata intercalata da sensazioni d’oltroceano, che vanno ad anticipare l’impatto diretto di Pearl Hart , traccia dal facile all’ascolto, caratterizzata da un tappeto sonoro dall’anima power pop, il cui drum set risulta ben equilibrato nei confronti di una vocalità quasi stranita nel suo chorus. L’inatteso guitar solo, pur non aggiungendo nulla al brano, riesce a delineare la porta di ingesso di un album che guarda a suoni moderni, atti a viaggiare verso il post grunge ( The Nameless One ) ed il territorio thrash, proprio come dimostra Dead But Rising , il cui l’ottimo il riff dona al brano un’anima anni 80.
I giochi vocali del frontman si alternano sapientemente, in condizione da offrire spazi acustici di facile impatto e ciclotimici andamenti legati ad un sapore fortemente Anthrax. Il clapping hand edulcora i tempi che vanno a diluirsi in maniera funzionale verso il ritmo in battere di Lola Montez , le traditional sensation di Lonesome Rider in featuring con Sarah Blackwood che, lasciati i panni di Client B, si riavvicina alle vocalità dell’alternative pop, al servizio di un arrangiamento curioso e d’impatto quanto le percezioni Creed di The Sinner Is You.
Non mancano poi riff maideniani, né piccole sorprendenti perle musicali come la coverizzazione di My body e un sorprendente duetto con King Diamond in Room 24, stanza dalla quale escono fumi Sabbathiani. Un’inquietudine iniziale pronta ad unirsi a giochi sonori ed a riff martellanti che si dirigono verso lo screaming tipico di Kim Bendix Petersen, compatriota della band, in favore di richiami heavy metal appartenenti alla golden age, in cui si armonizzano rinnovate sonorità al servizio di un album davvero splendido (!).
Tracklist
01 Let’s Shake Some Dust
02 Pearl Hart
03 The Nameless One
04 Dead But Rising
05 Cape Of Our Hero
06 Room 24 (feat. King Diamond)
07 The Hangman’s Body Count
08 My Body
09 Lola Montez
10 Black Bart
11 Lonesome Rider (feat. Sarah Blackwood)
12 The Sinner Is You
13 Doc Holliday
14 Our Loved Ones