Verdi – La Traviata
Ve lo ricordate “Pretty Woman”? Vi ricordate quella scena, in cui una sfolgorante Julia Roberts si scioglie in lacrime assistendo ad un’opera nel teatro di S.Francisco?
“Mi si sono aggrovigliate le budella!” dichiarerà poi alla fine, alla compita ed anziana signora del palco accanto.
Beh, quell’opera, per chi non lo sapesse, era La Traviata, e questo è l’effetto che fa sul pubblico da centododici anni!
E pensare che il giorno della prima, tenutasi al Teatro La Fenice di Venezia il 6 marzo 1853 fu un clamoroso insuccesso! I cantanti erano inadeguati, e il pubblico non era preparato ad un’opera così moderna, ambientata nella contemporaneità e basata su una storia fatta di sentimenti e di intimità, così lontana dai sanguigni drammi in costume che circolavano in quegli anni con il loro granguignolesco repertorio di amori contrastati e morti ammazzati. Sì, quella prima volta il pubblico restò deluso. Verdi disse che il Tempo avrebbe giudicato. Fatto! Il Tempo ha dato ragione a Verdi.
Oggi la Traviata è indubbiamente una delle opere più amate in assoluto, viene eseguita ogni anno in decine di teatri di tutto il mondo e, nella sua storia, è stata registrata un numero enorme di volte. Attualmente esistono in commercio più di quaranta edizioni discografiche di cui almeno sei con Maria Callas come protagonista.
L’opera è arcinota e credo che non sia necessario dare più di qualche indicazione sulla trama. Si tratta di un melodramma in tre atti con tre personaggi principali: Violetta Valery (soprano), Alfredo Germont (tenore), innamorato di Violetta, Giorgio Germont (baritono), padre di Alfredo.
Il primo atto narra di una festa a Parigi in casa di Violetta, una bella e famosa mondana che sa d’essere condannata da una malattia che non lascia scampo. Durante la festa, a Violetta viene presentato Alfredo, un giovane brillante che le dichiara il suo amore. Lei, rimasta sola, scopre, con un grande tormento interiore (Sempre libera degg’io folleggiare di gioia in gioia…) di ricambiare il sentimento.
Nel secondo atto scopriamo che Violetta e Alfredo si sono ritirati a vivere insieme in una casa di campagna lontana dalle luci e dalle feste parigine. In quella casa, all’insaputa del figlio, giunge Giorgio Germont (il padre) che prega Violetta di lasciare Alfredo affinché la figlia (sorella di Alfredo e “pura siccome un angelo”) possa sposarsi con un tizio che pare non sia contento di impalmare una che, per quanto “pura” è macchiata da un fratello che intrattiene una relazione illecita e chiacchierata. Umiliata, Violetta acconsente a lasciare Alfredo e se ne torna a Parigi. I due amanti si ritrovano ad una festa dove Alfredo litiga con tutti: Violetta, il suo attuale amante, i convitati… Il padre, che è presente, lo redarguisce dicendo che anche nell’ira una donna non deve mai essere offesa, ma senza raccontare al figlio le ragioni del gesto di Violetta ed illuminando così di un significato nuovo la parola “ipocrita”.
Nel terzo atto siamo nell’appartamento di Violetta, a Parigi. Violetta sta morendo. Arrivano il padre e Alfredo. C’è una spiegazione. Violetta ed Alfredo si dichiarano eterno amore e fanno piani per un futuro di cui si nascondono la consapevolezza della tragica brevità. Dopo pochi minuti Violetta muore tra le braccia di Alfredo.
Questa la trama del libretto che, pur provenendo da un dramma di Dumas figlio (La dame aux camélias) presenta diversi punti deboli nella struttura narrativa. Il più appariscente è rappresentato dalla pochezza della motivazione con cui il padre chiede a Violetta di lasciare Alfredo. Altro problema è rappresentato dalla sfilacciatura tra le diverse scene che l’ascoltatore deve ricucire attraverso le didascalie del libretto e con l’aiuto della fantasia. Quello che è stupefacente è invece la capacità di Verdi, di calarsi nelle profondità dell’animo umano rappresentando, attraverso la musica, sentimenti e situazioni con una finezza ed una precisione di dettaglio che mai si erano uditi prima. Così, e nonostante i problemi narrativi, basta che lo spettatore s’abbandoni al flusso della musica e questa gli racconta la Vita: la gioia, i tormenti, le passioni, l’amore, la morte. E ci si immedesima nei personaggi, eccome se ci si immedesima! Lo posso ben dire, visto l’odio che nutro per Giorgio Germont. La sua ipocrisia pelosa mi acceca al punto che non riesco nemmeno a commuovermi per la morte di Violetta, ma rimango semplicemente infuriato a rimuginare il mio odio per questo padre che (il terzo atto si svolge solitamente ai piani alti di un palazzo parigino) scaglierei volentieri giù dalla finestra.
Le edizioni che cercherò di descrivere in questo articolo sono tra le più amate della discografia di quest’opera. La prima è stata incisa da Carlos Kleiber nel 1977 con Ileana Cotrubas e Placido Domingo, la seconda da Riccardo Muti nel 1980 con Renata Scotto e Alfredo Kraus; cartina al tornasole sarà una Traviata “live” del 1958 diretta da Franco Ghione con Maria Callas e, di nuovo, Alfredo Kraus.
Kleiber mette in gioco un suono orchestrale lussureggiante, ed un commento musicale nel segno di emozioni al calor bianco: si veda in proposito la scena della festa nel secondo atto dove il direttore sostiene una tensione veramente al limite del sopportabile per l’ascoltatore. Si vedano anche i preludi del primo e del terzo atto eseguiti con suoni di velluto che, veramente, non hanno uguale.
Kleiber pone anche una grande cura nell’intelligibilità dell’opera, è stupefacente la chiarezza con cui s’intendono tutte le parti anche nelle scene di massa o nelle sezioni in cui il tempo incalzante staccato dal direttore, sembrerebbe impedire ai cantanti di articolare correttamente le parole. Non vi è mai confusione e, con un semplice libretto, non con la partitura, è possibile seguire sempre ogni singola voce. A tanto lusso nella parte orchestrale, a tanta cura del particolare, non fanno da contraltare interpreti vocali altrettanto efficaci.
La Cotrubas, che in quegli anni era in auge ed è stata più volte ospite anche alla Scala, è lontana dalla capacità di scavo del personaggio di una Callas, canta degnamente dandoci un’interpretazione che ci accontenta, ma non è di quelle che si ricorderanno nel tempo. Stupisce che, nonostante il suo noto rigore nel recupero della volontà originale dell’autore, Kleiber lasci a Violetta il mi bemolle che la tradizione volle in chiusura del primo atto: la Cotrubas comunque, esegue.
Domingo è un personaggio di un po’ troppo spessore rispetto al ruolo. Diciamo che si fa fatica, data l’autorevolezza, la pienezza della sua voce, ad immaginarlo come un innamorato giovane. Dal punto di vista tecnico non ha le mille risorse di un Alfredo Kraus, ma il timbro della sua voce è di una bellezza veramente straordinaria e la sua sensualità, che emerge talvolta in maniera prorompente, regala momenti di grande intensità in cui, al confronto, il Kraus del 1980 sembra un ghiacciolo (Di quell’amor ch’è palpito/Dell’universo intero).
Milnes è un Giorgio Germont all’altezza della situazione.
La versione di Muti gode, a mio avviso, di una minore levigatezza dal punto di vista dei suoni, ma di un cast livello assoluto.
Muti mostra di accorgersi della stupenda qualità dei cantanti e non cerca di mettere in primo piano la parte orchestrale. Lontano dalle sete, dai velluti e dalle dinamiche travolgenti dell’edizione Kleiber, qui un manto sonoro avvolge le vicende dei protagonisti lasciando che sia piuttosto il canto ad esprimere i contenuti dell’opera.
La Scotto delinea una Violetta a tutto tondo, femminile e sensuale, la sua è un’interpretazione che coglie l’essenza di un personaggio estremamente complesso. Per esempio nel suo “Sempre Libera”, giocano chiaramente fattori contrastanti che arricchiscono il personaggio di mille sfaccettature: la scoperta d’essere innamorata per la prima volta, la consapevolezza di essere condannata dalla malattia, la paura di un legame amoroso e di un sentimento mai provato prima, la paura del cambiamento, il desiderio di cambiare vita… Tutto questo fuso da una vocalità di prim’ordine.
Kraus è semplicemente il più grande tenore della seconda metà del Novecento e qui non fa altro che confermarsi tale. Certo, dato il suo timbro vocale fa un po’ fatica a calarsi nei panni dell’Alfredo “cattivo”, e nella scena 14 del secondo atto (Ogni suo aver tal femmina) è assai meno credibile di Domingo, il quale invece risulta spesso inferiore nelle parti recitative dove il controllo della voce messo in scena da Kraus è assolutamente ineguagliabile.
Nell’edizione Muti poi, la parte di Germont padre è sostenuta da un Bruson signorile, altezzoso, comprensivo, persino dolce e commosso. Pur nell’assoluta antipatia che suscita in me questo personaggio, non si può non apprezzare il ritratto che questo grande baritono ne tratteggia.
Qui vale la pena di ricordare anche l’edizione EMI del 1958 con la Callas e Alfredo Kraus che, pur essendo un’edizione live con tutti i limiti di una ripresa sonora datatissima, in cui si sente spesso il suggeritore e con un pubblico tossicchiante ai limiti della maleducazione, riesce ad essere meravigliosa almeno per un paio di motivi che si chiamano appunto Kraus (e Kraus giovane è qualcosa di stupefacente) e Callas. La Callas “è” Violetta così come “è” Tosca e come “è” Norma e la maggior parte delle eroine da lei rappresentate sulla scena. I due cantanti s’abbandonano alla loro arte ottenendo risultati di una bellezza indimenticabile come la scena finale del primo atto (Follie! Follie!) dove Kraus è di una inarrivabile morbida sensualità, dove la Callas infila capolavori uno dietro l’altro dimostrando una cura per il particolare veramente maniacale, dove ogni sillaba, ogni vocale potrebbe essere oggetto di un attento studio. Si provi ad ascoltare come cade quel “Per l’aride follie del viver mio” recitato con tutto il rimpianto per una vita che, improvvisamente sembra, a Violetta, solo una vita sbagliata. Ma poi si ascolti anche la strofa “Di voluttà ne’ vortici perir” dove, semmai un vortice emise un canto o un canto divenne un vortice, è certamente in quel magico istante.
Che dire per concludere. Dal punto di vista della costituzione di una discoteca classica un’opera come La Traviata è indispensabile ma, come spesso accade, soprattutto nella musica lirica, difficilmente si ha la fortuna di avere una edizione di riferimento. Il più delle volte si raccolgono perle da diverse interpretazioni senza uscire mai del tutto contenti da un singolo ascolto. È questo un problema al quale chi s’accosta alla musica classica dovrà ben abituarsi. È questo il caso della Traviata, forse sarebbe indispensabile possedere tutte e tre le edizioni qui citate per avere un panorama il più possibile completo di un’opera tra le più belle prodotte da Giuseppe Verdi. Dovendo proprio scegliere, privilegerei l’edizione diretta da Carlos Kleiber come miglior compromesso considerando: l’interpretazione complessiva, il suono orchestrale, la compagnia di canto, la qualità dell’incisione.
Edizioni citate
(1) Riccardo Muti (dir.), Renata Scotto (Violetta), Alfredo Kraus (Alfredo), Renato Bruson (Giorgio Germont) EMI 1980
(2) Carlos Kleiber (dir.), Ileana Cotrubas (Violetta), Placido Domingo (Alfredo), Sherrill Milnes (Giorgio Germont) DG 1977
(3) Franco Ghione (dir.), Maria Callas (Violetta), Alfredo Kraus (Alfredo), M.Sereni (Giorgio Germont) EMI 1958 live