Vasco Rossi – Il mondo che vorrei
“Sulla strada di Toffee”
Lo ha ammesso lo stesso Vasco in una recente intervista a Radio Dj. Ospite di Dj chiama Italia trasmissione della coppia Linus-Savino, ha tenuto a sottolineare che il suo modo di scrivere negli ultimi anni è mutato, si sta sempre più dirigendo verso quel minimalismo di cui il brano Toffee (1985 – Cosa succede in città) è, a detta di Vasco, l’esempio più importante e… riuscito, aggiungo io. Se ci fosse qualcuno, lo dubito ma non si può mai sapere, che non conoscesse il brano, riassumo velocemente la storia: c’è una donna, poi c’è un uomo ed infine un asciugamano.
Tutto qui direte voi? Tutto qui.
In questo brano Vasco riesce, con un testo ridotto veramente all’osso, a descrivere una situazione; con pochissime pennellate, non una in più e non una in meno, dipinge un’immagine di vita quotidiana, semplice, normale, quasi banale direi, ma lo fa da grande artista. E’ come se cominciasse uno schizzo su una tela bianca e lasciasse a noi il compito di completarlo, lasciasse ad ognuno di noi la libertà di immaginare tutto il resto, tutto quel resto che non viene raccontato. Questa capacità di buttare sul foglio bianco poche parole e lasciare a chi ascolta il compito di riempire quegli spazi bianchi, è secondo me uno dei segni distintivi del Vasco-autore e a mio modesto parere una delle sue più grandi capacità.
Tornando all’intervista, Vasco afferma che tutto questo ha cercato di portarlo alla massima estremizzazione, non toccando però le vette di Toffee (come ci tiene a precisare anche lui), nel suo ultimo album di inediti Il mondo che vorrei, se ci sia riuscito o meno, lo vedremo poi.
E’ uscito lo scorso 28 marzo e verrà portato, insieme ai più grandi successi, in tour quest’estate, tour che parte da Roma il 29 maggio e che scommettiamo, senza rischiare davvero nulla, sarà un altro successo, come quelli degli anni precedenti.
L’album contiene 12 tracce, di cui l’ultima è quel Basta poco uscito come singolo ormai l’anno scorso. Ad aprire all’ascolto è stato proprio il brano che dà il titolo all’album, scelto come primo singolo. L’album aveva già più di 350.000 copie in prenotazione prima della sua reale uscita, ma questo non ci stupisce più di tanto, le cifre di Vasco ci siamo abituati a conoscerle, nessuno in Italia riesce nella difficile e a volte impossibile impresa di vendere quanto lui in un mercato discografico che definire stagnante è davvero poco. Solo che la musica, almeno per la sottoscritta, non la fanno le cifre, o almeno non solo quelle. E allora pur ammirando il Vasco-autore, il Vasco-performer e spesso anche il Vasco-personaggio da tempi remoti, quest’album non mi ha convinto. Non lo ha fatto al primo ascolto, né in quelli successivi.
Ci sento dentro stanchezza, ci trovo poche idee veramente valide e poca, pochissima, della rabbia vera del Vasco di Siamo solo noi o Gli spari sopra, eppure in questo periodo storico di cose per cui arrabbiarsi ce ne sarebbero parecchie. Ci leggo dentro una malinconia che però è lontana da quella di capolavori quali Liberi Liberi o Vivere, qui sembra essere quasi fuori luogo, sembra non trovare il suo senso.
Per quel che riguarda la musicalità, le melodie e gli arrangiamenti, secondo me qualcosa da salvare c’è. E quel qualcosa è il tentativo, più o meno riuscito, di far rientrare nello stesso album cose diverse tra loro, e quindi spazio alla classica ballad con chitarra acustica, al brano quasi parlato, alla chitarra elettrica (di Slash in Gioca con me) portata allo stremo, insomma, sicuramente nulla di nuovo, il solito ma buon Vasco. Quello che delude davvero sono i testi.
Abituati, forse male, a Dillo alla luna, Gli angeli, Sally è pazza, Stupendo e potrei continuare con almeno altri dieci/quindici brani del vecchio Vasco, questi testi risultano alle orecchie come già sentiti ed è la più brutta sensazione che una canzone può darti.
Da salvare però qualcosa c’è. C’è il Vasco scherzoso, un po’ sbruffone e spiritoso, quello che in Colpa del whisky e in Gioca con me riesce se non altro a darci uno sprazzo di vita, quella vera, vissuta, che qui in quest’album ci dobbiamo accontentare di ritrovare in un paio di brani quando fino a qualche anno fa, almeno una decina direi, la potevamo respirare in ogni nota.
E’ arrivato il momento di farci la domanda fatidica, quella che secondo me bisogna farsi dopo aver ascoltato un album. E sinceramente ho un po’ paura a farmela stavolta, perché purtroppo conosco benissimo la risposta: quanti di questi brani passeranno indenni lo scorrere del tempo, lo supereranno e potranno essere definiti classici di Vasco tra qualche anno?
Ecco, probabilmente: nessuno.
Mi tirerò dietro l’ira dei fan del Blasco nazionale con quest’affermazione, forse però solo di quelli che in maniera acritica accettano tutto quello che arriva solo perché “Vasco è Vasco”, e non di quelli che più intelligentemente sapranno leggere in questa mia delusione una stima e una passione per il Blasco (nata quando ancora lo stereo andava a cassette) che nonostante gli ultimi lavori poco convincenti non verrà per questo scalfita.
Vasco continuerà ancora a vendere migliaia di copie. Vasco continuerà per anni a far vendere 70.000 biglietti in pochi giorni. Vasco continuerà a catalizzare l’attenzione su di sé ad ogni suo piccolo movimento. Vasco continuerà sempre a costruire e a solidificare il suo mito.
Continuerà per ancora molti anni. E noi continueremo a parlare di lui.
Spero solo che negli anni a venire, torni anche a mettere rabbia, disperazione, passione, voglia e quella sottile malinconia che ne hanno sempre contraddistinto la carriera. Spero che torni ad emozionare quel pubblico che lo ama e lo segue da una vita e soprattutto che avvicini a sé quelli per i quali Vasco è ancora e solo Vita spericolata, per insegnare loro chi era il Vasco degli anni 80 e 90, cosa che non potranno mai capire da questo ultimo lavoro