U’Papun, Fiori innocenti, recensione
Partiamo dal presupposto non avrei voluto fare questa recensione. La motivazione si può ritrovare in una serie di motivi per i quali avrei preferito evitare di dare voce alla mia penna, in quanto il mio lato soggettivo questa volta ha avuto la meglio durante il plurimo ascolto del disco in questione, apparso alle mie orecchie forzato e poco naturale nel tentativo di inseguire una terra fertile a mio avviso ancor troppo lontana dall’anelata meta. Da qualche parte, non ricordo dove, ho letto che Red Ronnie ha definito gli U’papun come “il lato deviato della Puglia”. Dopo un lento meditare mi sono chiesto perché?
Forse perché la vocalità (a tratti piacevole) del frontman approccia in maniera teatrale e sopra quelle righe già lette da molti artisti in passato? Forse per un songwriting non banale, ma spesso sintetico e poco genuino?
Non saprei dire il perché…e me scuso in quanto la mia intenzione, scrivendo di questa band, non è certo posizionare il mitra e depredare il loro accurato lavoro con le parole, ma è quella di chiede scusa per la mia manifesta incapacità di comprendere appieno le intenzioni di Alfredo Colella e comprendere come possa una band come molte essere definita sorprendente, come qualcuno ha detto.
Tornando alle mie colpe, facendo un breve calcolo sommario, in questi ultimi 12 anni da articolista ho avuto l’onore e l’onere di ascoltare qualcosa come 8000 gruppi underground; forse fagocitato da questa immensa quantità, mi rendo conto che ormai è difficile trovare qualcosa di definibile come sorprendete…
Detto questo, cerchiamo di tornare nell’oggettività professionale per raccontare chi sono gli U’Papun…un ensemble pugliese, formato dalla voce enfatica del già citato Colella, cinque musicisti di buon rilievo e un cosiddetto teatrante, tutti al servizio di un etno –folk che ritrova nelle sue radici la propria ragione d’essere, regalando uno sguardo passatista verso la cultura musicale di ieri, rinverdita da un suono che cerca di essere modernizzato da sviluppi rock.
Non mancano certo le roots del jazz e della tradizione che ritornano proprio nel loro monicker, un nome legato al folclore della loro terra, molto vicino alle concettualità teatrali espresse nei loro live, molto più convincenti della sede studio.
Quest’uomo uomo nero che compare dietro alla splendida cover art nereggiante e pittorica, attraversa un lavoro di rara cura estetica, che si riflette anche sul web, attraverso il ben strutturato sito ufficiale, da cui trapela quella strabordante teatralizzazione vicina a Gaber, Area e al cantautorato anni 70, tolto però di quella parte istintiva e diretta, che sottolineano alla lunga una serie di elementi deboli all’interno delle (troppe) 16 tracce di Fiori Innocenti. Infatti, gli U’Papun sembrano più attenti alla struttura musicale e al tentativo di ricercati arrangiamenti, che non al vivere la propria musica.
Tra i brani, organizzati come in un vecchio vinile, appare sin troppo facile notare come il singolo L’appapparenza sia tra i più convincenti dell’album, non solo per la compartecipazione sentita di Michele Salvemini, in arte Caparezza. Il brano offre una mescolanza tra il folk rock nordico e la piacevole giocosità alternative rap, forse di facile sviluppo, ma senza dubbio più efficace del proto progressive di La danza degli insoddisfatti e la staticità di Vivere come un’attarzione. Il disco eccessivamente diluito nelle sue 16 tracce 16, offre svariati movimenti che ospitano il blando levare di Sposa in nero, di certo tra le migliori tracce del disco, ben assestata tra poetica metaforica e funzionali sviluppi acustici. Purtroppo però a tratti la vocalità del frontman sembra volersi sforzare verso una sinteticità strutturale e verso un viaggio che prosegue tra un folk rock cantautoriale a tratti troppo fedele a se stesso, nonostante alcune trovate interessanti come la strumentale Raga Fiori e l’Hardita versione di Giulietta, divertissement di ampio respiro …
Insomma un disco che deve piacere…e che a mio avviso ha fatto il classico passo più lungo della gamba, ricercando forme elitarie di comunicazione, a tratti cervellotiche e nobili, ma non sempre definite attorno a quella mancante genuinità, proprio come in coloro che amano la musica, ma non ne sono avvolti.
Tracklist
1. Inutile alchimia
2. La sposa in nero
3. L’odore delle rose selvatiche
4. La danza degli insoddisfatti
5. Maledettissimi soldi
6. Le nebbie
7. Vivere come un’attrazione
8. L’appapparenza (feat. Caparezza)
9. Uomo qualunque
10. Raga fiori
11. Fiori innocenti
12. C’era una volta
13. Biancaneve (donna emancipata)
14. Giulietta
15. L’uomo nero
16. Buonanotte…