Ul mik Longobardetah “Calibro Rovente”, recensione

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Dopo qualche tempo torniamo a parlare di Ul Mik e del suo felice e vivo project chiamato Longobardeath, oggi in uscita con la nuova opera in lingua lombarda. La band nella sua solida line up, appare compatta e ben intenzionata a professare il proprio credo espressivo-artistico, nelle vesti di festanti composizioni musicali in cui Giorgio Gaber è posto al fianco di Strehler e Rimskij-Korsakov. Un itinerario che bilancia tradizione e coraggio, proprio come dimostra l’ironia citazionistica de Il volo del Calabrese , velocissima coverizzazione della composizione di inizio novecento, qui appoggiata ad un tappeto heavy.

Calibro rovente, pur ponendo in primo piano la ligera e le sensazioni poliziesche anni’70, non si limita ad offrire la solita usuale voglia di festa (A l’è festa e El Bicer), ma riesce con semplicità ad ottenere buoni risultati dalla robusta sinergia tra tradizione (El risott), cantautorialità (Cerruti rock) e un corposo thrash metal, base fondante dell’ eloquenza di Ul MIk e soci . Il disco appare nella sua follia contenutistica come un dodecaedro magico, capace di rivisitare un radicato folclore attraverso brani come Povera Rosetta, semplice quanto si vuole, ma di certo efficace nel suo tentativo di cambio per le 16 canzoni (forse troppe), che appaiono come lo specchio dell’energia live dei Longobardeath, sempre pronti ad un headbanging old style.

A battezzare il il calibro rovente sono le quattro corde nell’introduttiva Introduzion:777, traccia destabilizzante per il suo approccio free. La track, vestita da heavy sound, appare come un ben definito incipit propedeutico, atto a trascinarci nei quasi 60 minuti di musica tirata, da cui emergono brani interessanti come Porta romana, il cui perfetto riff ci parla di uno splendido speed thrash che si fa teutonico con Luciano, il cui attacco sembra uscire dall’esordio discografico dei Body Count. Ma, in più occasioni, è proprio ascoltando il nuovo full lenght, che si ha l’impressione di rivivere il periodo pre-death style, in un viatico che tocca per certi versi la goliardia dei Tankard e alcuni passaggi compositivi degli Helloween.

Se poi tracce come Ma mi e Ul giuvan l’è turnà a cà appaiono track meno a fuoco, ci si torna a divertire con la stranita versione di Coccodì Coccodà, in cui curiosi riferimenti musicali ci restituiscono una band in piena forma, proprio come dimostra la chiusura di Il moro, in cui si torna all’italiano per un ritmo dal groove possente, differenziato e veloce quanto il rock amato da Lemmy.

Dunque non vi resta che ascoltare, guardare e seguire questa band, molti di voi la fuori non se ne pentiranno.

01. Introduzion:777
02. Porta Romana
03. Luciano
04. El palo de l’Ortica
05. Ma mi
06. Ul giuvan l’e’turna’a ca’
07. A l’e’festa
08. La povera Rosetta
09. Il volo del Calabrese
10. El risott
11. Cerruti rock
12. El barbun
13. Coccodi’coccoda’
14. El bicer
15. Il Moro
16. Final:113