U2 – The Joshua Tree (1987)
Ci siamo. Sono passati 30 anni (quasi esatti) dall’uscita dell’album capolavoro di una delle rock band più importanti ed era quasi naturale che la nostra rivista lo inserisse fra i suoi Dischi da Isola Deserta.
Dopo un album di grande successo come “The Unforgettable Fire”, gli U2 sentivano che era arrivato il momento di conquistare l’America e per farlo entrarono in studio all’inizio del 1986 con i fedelissimi Bryan Eno e Daniel Lanois per creare qualcosa di veramente grande. A questi vanno aggiunti l’ingegnere del suono Mark Ellis (meglio noto come “The Flood”) – che iniziò così una collaborazione con Bono e compagni che sarebbe durata nel tempo – e Steve Lillywhite che aveva già collaborato con loro e fu chiamato in causa praticamente a lavoro finito, solo per mixare alcuni singoli. La produzione di questi moschettieri, insieme alla band, fu impressionante, minuziosa, ma soprattutto molto lunga, considerando che “The Joshua Tree” uscì per la Island Records prima dell’estate 1987. La scelta di inserire una versione di un pezzo, invece che un’altra, comportò anche tensioni fra i vari protagonisti dalla personalità forte, ma alla fine il risultato è semplicemente magnifico.
Credo che di LP con un trittico iniziale così trascinante, potente, emozionate e oltretutto commercialmente imbattibile, come quello che apre il lato A, ne esistano veramente pochi nella storia della musica. Ricordo che quando vidi il loro concerto allo Stadio Flaminio a Roma, a maggio di quell’anno, rimasi letteralmente senza parola quando iniziarono le note di “Where the streets have no name” e il perché è semplice: in modo magico riesce a prenderti per mano e teletrasportarti nelle strade desertiche che gli U2 volevano fortemente evocare. La melodia di “I still haven’t found what I’m looking for” rappresenta poi il loro Zenith radiofonico e, nonostante sia oggettivamente orecchiabile, non riesce mai a stancare. Per certi versi è strano il successo pazzesco che ebbe subito “With or without you” – che di radiofonico e di semplice ha veramente poco – eppure il testo così doppiamente romantico e spirituale (le interpretazioni si sprecano) e quel crescendo musicale mozzafiato giustificano in pieno la scelta come singolo apripista.
La mia canzone preferita di sempre, che segue l’esplosione rock di “Bullet the blue sky”, è la ballata quasi sussurrata “Runnig to stand still”. The Edge apre la canzone con un dobro e poi accompagna con un tocco elettrico gentile e leggero la splendida voce di Bono. Grazie anche all’armonica che fa capolino nel finale sicuramente si tratta di uno degli episodi più “americani” di tutta la loro carriera, insieme a “Trip through your wire” (sul lato B) e “Desire” (che lanciò il disco successivo “Ruttle and hum”). Altro pezzo desertico eccezionale è l’uptempo di “In God’s country”. La musica inizia e ci si ritrova anche senza volerlo in autostrada a 100 km all’ora, con il vento caldo che entra nei finestrini mentre sabbia e polvere annebbiano la vista. Il ritmo scende di un gradino nel quinto singolo (uscito nel marzo 1988), la morbida ballata “One tre hill”, là dove “Exit”, certamente la meno facile e più inquietante in assoluto, ci trascina con sé in un mood dark.
La finale e incantevole “Mothers of disappeared” – con Eno che gioca sullo sfondo con l’elettronica – affronta il tema sociale e politico della velenosa influenza degli USA (amministrazione Regan) in El Salvador. Amore e odio dunque, nei confronti di una nazione sì affascinante, ma pur sempre la più influente e potente del mondo. Da questo turbolento sentimento il quartetto irlandese riuscì a trarre il meglio di sé, regalandoci una perla rara come “The Joshua Tree”, che solo con “Achtung Baby” riuscirà (almeno in parte) ad eguagliare, quasi un lustro più tardi.
PS: Per chi non li ha mai visti LIVE, il nuovo tour celebrativo di questa pietra miliare del Rock potrebbe essere l’occasione da non perdere. Per chi li ha già visti invece, come il sottoscritto…beh andrei allo stadio anche solo per risentire “Running to stand still” magari cantata fra “One” e “Magnificence” e voi?