Twilight Gate
Arrivano da Bari e sono attivi da circa un lustro. Nascono dall’idea iniziatica di Gaetano Rossiello di mescolare un heavy old style con un solido power- prog metal, assestabile all’interno di una sottile linea di demarcazione tra armonie e ritmiche. Freschi della vittoria al Salento Metal Contest 2012 i Twilight Gate arrivano finalmente alle stampe con un Ep self promosso dalla Red Cat Promotion, voce di un concept che si chiude a cerchio sulla sempre classica visione combattiva tra il bene ed il male.
Infatti è proprio un’anima tipicamente fantasy, richiamata dalla non troppo convincente workart, ad aprire sull’iniziale Scent of twilight. La traccia ci offre una strumentale apertura al mondo della band, attraverso un dolce approccio musicale che si estende nell’ottimo attacco di Fate che, per la sua strutturazione, potrebbe benissimo ricondurci ai due capitoli di Keeper of the seven keys. La mente che corre alla seconda generazione degli Helloween, a tratti ci distrae però dal power metal di buona fattura che la band riesce ad offrire catturando sensazioni progressive mai invasive e ben assestate, come i guitar solo di un album figlio dell’HM golden age.
Il buon lavoro della sezione ritmica sembra emergere poi dalla ottima Land of the Wiseman, il cui l’intro maideniano anticipa un ottimo riffing, che di certo non sarà cibo per i fan del pig squeal, ma che offre, con i suoi piacevoli cambi di direzione, un metal di ottima fattura. D’altro canto appare innegabile come il quintetto cerchi (volente o nolente) di avvicinarsi al deja vecù, attraverso trovate classiche come la melodica ballata Starlight Memories che, pur non offrendo nulla di nuovo, rilascia il necessario pathos narrativo.
Di miglior fattura appare invece la conclusiva Portrait of Warlord, anticipata dal pochi secondi strumentali di Throungh the gate. Il brano si propone attraverso un power ben calibrato e tecnico che vive di ottimi momenti narrativi e piacevoli cambi di direzione, rafforzati da back voice, guitar solo old school e veloci passaggi che ci accompagnano nei meandri di sette abbondanti minuti.
A chiudere il disco è infine la bonus track Catch the rainbow, coverizzazione dell’omonimo brano del 1975 portato alla ribalta dal compianto R.J.Dio e dalla sei corde di Ritchie Blackmore. Il brano immerso in uno splendido rock’n’blues, definisce al meglio le (scusate il termine) straordinarie capacità canore di Stefano Fiore, che nella reinterpretazione del brano sembra ricordare il primo Ian Gillan.
Dunque, appare chiaro sin dal primo ascolto che la band abbia i semi germinali adeguati per crescere all’ombra delle loro inevitabili influenze artistiche, a patto di riuscire ad interpretare le proprie idee senza vincoli e senza influssi citazionistici.