Triste colore rosa “Scomparire in 11 semplici mosse”, recensione
Tormentati,
Ruvidi, ma
Ineluttabilmente sognanti
Stiamo
Tentando di
Entrarvi in cuore
Corrodere,
Ora e mai,
La melodia
Ofar sì che
Rimanga intatta
Epura pur nel rumore
Rimane, questa, l’ultima arma
Ostile
Sempre, contro
Abulia e superficialità
Devo ammettere che la band bergamasco-bresciana mi ha sor-preso in positivo. Per la semplicità con cui affrontano temati-che differenti (da quella amorosa a quella sociale) e per le so-norità assai differenti, il tutto ben miscelato all’interno di una struttura solida e compatta, ovvero questo album.
Scomparire in 11 semplici mosse è un lavoro carico di contrad-dizioni musicali che lo rendono tuttavia originale e interessan-te. Sicuramente onirico, risulta chiaramente in sintonia con il nome della stessa band: un ossimoro (tra “triste” e “il colore rosa” che porta pensieri positivi e felici) che rende chiara l’idea che il quartetto ha della musica e del suono da proporci. So-cialmente impegnato (i ragazzi sono persino stati a Palermo, nell’annuale commemorazione di Falcone e Borsellino, socia-lizzando con i cari ragazzi di AddioPizzo), il gruppo ha un sound originale che ci porta a immaginare scenari autunnali, di foglie secche che galleggiano leggiadramente su letti di fiumi freddi, di alberi spogli ma anche di arcobaleni a ciel sereno che si propagano dalla nebbiolina di cascate soffici e pure.
Partendo dal sound molto americano della prima traccia (perché è questo che si percepisce in Io e di fronte me in cui sembrano essersi materializzati dal nulla i Goo goo dolls di Slide) si passa agli arpeggi melodici e al testo d’amore di Che tempo domani, in cui spicca per la prima volta la voce solista, con alcuni falsetti degni del miglior Giuliano San-giorgi (Negramaro), e l’arrangiamento raffinato che porta a un finale funk-rock.
Il terzo brano è molto pop-rock, un lento tipico italiano dove è apprezzabile, ancor più che nelle altre tracce, il missaggio ─ encomiabile per un autoproduzione.
In Mio padre è un albero si torna alle sonorità pop-rock a-mericane, con un riff di chitarra acustica semplice soffice e caldo, e un testo un po’ malinconico e aristocraticamente bu-colico, originale.
Il rock puro, con il ritmo della batteria statico e penetrante, la fa da padrone in Mara Cannibale. Pochi minuti di pura creatività ma si poteva osare di più.
Il jazz-rock invade il sesto brano, Come le balene. Canzone scritta in stile un po’ alla Max Gazzé, dove la voce tremante completa l’atmosfera cupa e davvero triste.
In Effimera ritorna il piano, come per la quarta traccia. Qui il testo risulta assai sdolcinato ma al contempo poetico, il cui tutto risalta il semplicissimo ma splendido arpeggio al piano-forte.
Bellissima, romantica, soffice fusione tra voce e chitarra acu-stica la ballata Gioia di cera dove il sogno si fonde con la real-tà.
Fugace ritorno al pop in Ogni maledettissima volta, prima di chiudere con i due brani finali (Fa così freddo che nemmeno me ne accorgo e Maracas) in cui la vena poetica ha la meglio su tutto il resto.
Scomparire in 11 semplici mosse, per definirlo a loro modo, è «una dimensione accogliente e calda come un divano rosso sul quale potersi raggomitolare, potersi riposare, sul quale poter giocare. È la dimensione del salotto, di un’accoglienza familia-re fatta di mobili antichi, delle luci soffuse di vecchie lampade, dei colori un po’ sbiaditi della sdrucita carta da parati che rico-pre i muri.
La stessa carta da parati che fa mostra di sé sulla copertina del primo disco dei Triste Colore Rosa, una copertina proteiforme che muta a seconda di ciò che le si nasconde alle spalle, in un packaging raffinato, particolare ed essenziale nella sua delicata complessità, specchio di una musica, quella della band, che fa dell’eleganza multiforme il suo marchio di fabbrica.»
Decisamente originale, consigliato.
I Triste Colore Rosa sono:
Francesco Bresciani
Giuseppe Falco
Francesco Zini
Ottavia Marini
Enrico Brugali
Contatti:
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