TP Orchestre Polyrythmo – Kings of Benin Urban Groove
Il Benin è un piccolo paese francofono che si affaccia sul golfo di Guinea stretto tra il Togo e la Nigeria. In ambito musicale è conosciuto in tutto il mondo grazie ad una grande pop-star, la pantera del Benin Angelique Kidjo. Ma il disco di cui parliamo oggi è qualcosa di completamente differente: si tratta infatti di un’orchestra quasi sconosciuta fuori dall’Africa, ma che ha pubblicato in patria decine di album: è la “Tout Puissant” Orchestre Poly-Rythmo de Cotonou, nata nel 1966 e tuttora attiva.
Ma, come al solito, andiamo per ordine: prima di tutto due parole sulla Soundway Record. E’ una label nata appena 2 anni fa a Londra e che ha pubblicato soltanto 4 album, ma che già ha ottenuto una ampia visibilità grazie alla qualità strepitosa dei suoi prodotti, in particolare delle due compilation “Ghana Soundz: Afrobeat, Funk and Fusion in the ‘70s” volumi 1 e 2. Unici nel loro genere, i due Ghana Soundz accendono le luci sul fiorire dell’Afrofunk ad Accra durante l’epoca d’oro dei seventies, evidenziando per la prima volta non la diaspora culturale che portò il sound dell’highlife dal Ghana in Nigeria, ma quella dell’Afrobeat che scorreva in direzione opposta. In effetti avrei dovuto cominciare, in ordine di importanza, da questi due gioielli, ma ho preferito parlarvi prima dell’ultimo nato, che forse ancora non è diventato un grande successo.
Come dicevamo, della Poly-Rythmo sapevamo poco. Un’altra loro raccolta pubblicata nel 2003, intitolata Reminiscin’ in Tempo (Popular African Music, 2003), metteva in evidenza atmosfere a cavallo tra il latino-americano e il soukous congolese, assolutamente in linea con molte altre orchestre dell’Africa francofona di quegli anni. Avrei detto niente di nuovo, se non fosse che in Kings of Benin emerge un groove molto diverso, come un coktail di vero Afrobeat e salsa cubana. Perché quei due dischi sono così diversi? La spiegazione più semplice è che tutto dipende dai gusti di chi ha selezionato i brani delle due raccolte tra gli oltre 50 LP e i 100 single prodotti dall’orchestra; ma lo stupore resta, e nasce dalla constatazione della grande versatilità della T.P Poly-Rythmo, capace di produrre magistralmente i differenti sound delle orchestre da ballo africane dell’epoca, dalla salsa al soukous, dall’highlife al funky.
Curiosando tra le note di copertina dei due CD, ecco disvelarsi le ragioni di tanta poliedricità. Prima di tutto l’orchestra di Cotonou ha accompagnato, nel corso della sua lunga vita, non solo tutti gli artisti più importanti del Benin, da Angelique Kidjo a Gnonnas Pedro, il cantante degli Africando deceduto purtroppo nell’estate del 2004, ma anche molte grandi star africane quando erano in tour nel loro paese: dal cameroonense Manu Dibango ai congolesi Tshala Muana, M’Pongo Love e Nyanka Bel, fino all’ivoriana Aicha Konè, solo per fare qualche nome. Allo stesso tempo, la stessa Poly-Rythmo ha fatto turné un pò in tutta l’Africa, e ha registrato i suoi album non solo a Cotonou, ma anche a Lagos e ad Abidjan, rispettivamenti i due maggiori centri dell’industria discografica africana.
Veniamo alla musica. L’Orchetre Poly-Rythmo ha un organico classico: batteria, percussioni, basso, tastiere, chitarre elettriche, sezione di fiati e voci. La forte personalità del loro sound è dovuta soprattutto al talento, oltre che del primo cantante e bandleader Clement Mélome, che fu anche tra i fondatori dell’orchestra, del batterista Leopold Yahoussi e del grande chitarrista Bernard “Papillon” Zoundegnon, questi ultimi due purtroppo scomparsi entrambi nel 1982. Il lavoro di Yahoussi alla batteria è in grado di definire in modo preciso il groove, sia esso salsa o funky, e di arricchirlo al tempo stesso di continue variazioni, mentre i soli di chitarra di Papillon, dal forte sapore rock, rappresentano le cuspidi della creatività della band.
A differenza del sound nigeriano, l’Afrobeat di brani come Aihe Ni Kpe We, Mi Si Ba To, Ne Te Faches Pa e altri ancora è caratterizzato da un sound più rock che jazz, con lunghe improvvisazioni affidate, piuttosto che hai fiati, a chitarra e tastiere. Inoltre, come abbiamo già detto, in alcuni brani le influenze latino-americane sono evidentissime. Gendamou e Agnon Djidjo sono puri brani di salsa, così come lo è Angelina, che chiude il disco, il primo successo dell’orchestra negli anni 60, mentre Kokoriko, uno dei brani più spensieratamente godibili, è un highlife coinvolgente e solare, dal forte sapore caraibico.
L’afrobeat venato da sonorità rock e atmosfere latine dell’orchestra di Cotonou rappresenta il punto di contatto trala musica di due differenti blocchi africani, in cui il funky e l’highlife provenienti dai paesi anglofoni vicini geograficamente ed etnicamente, come Togo, Nigeria e Ghana, si mischiano al groove rock-caraibico caratteristico dei paesi francofoni, come la Guinea e il Senegal. Le atmosfere che ne emergono forse non stupiscono per originalità, ma aggiungono una sfumatura nuova ad una musica che di per sé stessa è già altamente godibile.
Altre caratteristiche rendono questo disco così appetibile per gli amanti dell’afro-revival: il suono è curatissimo e il libretto è ricco di fotografie e di informazioni. Insomma, una produzione impeccabile, degna di un’etichetta che ha deciso di puntare tutto sulla qualità. Una scelta coraggiosa e meritoria, che mi sento il dovere in qualche modo di sostenere ed incoraggiare.