Tori Amos in Concerto 2 Giugno 2014 Roma – di Daniela Bersani
NB: Avevo già preparato la mia personale recensione del concerto, ma quando una mia cara amica (Daniela Bersani, che ringrazio) mi ha inviato la sua…non ho avuto dubbi su quale fosse la più incisiva, ancorché più “lunghetta”. Ma se amate Tori Amos, leggendola, vi sembrerà di essere stati là….. Marco Restelli
A febbraio, in occasione del mio 36° compleanno, mio marito mi ha chiesto che regalo volessi; io non ho avuto dubbi e con gli occhi accesi di gioia gli ho risposto: “Tori viene a Roma il 2 giugno, voglio il biglietto per il concerto!”.
E così dopo quasi 3 anni torno a vedere la mia artista preferita: la location è la medesima, lo splendido auditorium Parco della musica di Roma, ovviamente diverso il nome del tour a prendere il titolo dal rispettivo ultimo album pubblicato, così come differente è la situazione concertistica (nel 2011 si trattava di “Night of hunters” e la nostra come sempre al pianoforte era accompagnata da un quartetto d’archi , mentre quest’anno per “Unrepentant geraldines” si presenta in versione solo voce e piano), ma è Tori ad essere sempre la stessa, così potentemente divina e vera.
E posso dire con certezza ormai che non sono cambiate neanche le mie emozioni nei giorni immediatamente successivi al concerto: stesso stupore, stessa emozione viscerale, stessa identica sensazione di aver assistito a qualcosa di unico e irripetibile e quindi anche stessa struggente nostalgia di quei momenti passati in compagnia di Lei e del suo fidato piano Bosendorfer.
Perché assistere ad un concerto di Tori Amos, soprattutto nella versione solo voce e piano, resta un’esperienza indimenticabile ed intima, che tocca le corde più personali dello spettatore, anche se nella sala si è tutt’altro che soli.
E allora chiudo gli occhi e mi sembra di rivederla, come quella sera: cammina sul palco nel suo abito verde brillante, prende posto fra il piano e la tastiera e la magia ha inizio. Si parte con “Parasol” dall’album Beekeeper, uno dei pochissimi brani fissi di questo tour, ogni setlist è infatti quasi totalmente diversa dalle altre, poiché Tori ama definire una scaletta “su misura” per ogni data, in base al mood della serata ed alle richieste dei suoi fan. Così, ad ogni pezzo è una sorpresa, ogni nota iniziale porta con sé un brivido, perché ognuno in cuor suo spera in una “chicca” dal passato, in una perla rara o nelle proprie canzoni preferite di sempre (io letteralmente pregavo per “Cooling”, “Gold dust”, “Merman” e la cover “Time”).
Si prosegue con una potente “Pancake” e poi con la meravigliosa “Icicle”, gioiello del secondo album “Under the pink”. La voce è perfetta, quella dei tempi migliori, il piano è così forte, possente, vibrante che ti entra nella testa e nel cuore, per restarvi definitivamente. Ed ecco le bellissime “Carbon” (dal concept-album “Scarlet’s walk” in cui si viaggia all’interno dell’America, della sua storia e delle sue contraddizioni) e “Weatherman” una delle mie preferite dell’ultimo lavoro. Poi, ancora, “A sorta fairytale” sempre da “Scarlet’s walk”, la dolcissima “Ribbons undone” dedicata alla figlia e la stupenda “Past the mission”, accompagnata dal battito di mani a tempo del pubblico (poi anche della stessa divertita e compiaciuta Tori…) nell’inconfondibile ritmo della strofa.
Si arriva finalmente al momento delle cover, ribattezzato per l’occasione “Lizard Lounge”, con una dolce “The rose” di Bette Midler ed una versione molto intensa di “Boys in the trees” di Carly Simon.
Finito questo momento più intimo, è il momento del gioiellino “Mr.Zebra” da “Boys for pele”, seguito dalla ballata agro-dolce “Ophelia” (dal più recente e poco apprezzato dai fans e dalla critica “Abnormally attracted to sin”) e dalla storica “Blood roses” (sempre dallo struggente e dissacrante “Boys for Pele), in cui la rossa si divide fra il piano e la tastiera, ricreando con quest’ultima il suono del clavicembalo della versione originale ed enfatizzata da un particolare gioco di luci a disegnare sul palco rose rosso sangue.
E non posso fare a meno di notare quanto sia straordinaria la sua capacità di emozionare sempre, grazie alla voce intensa, al piano inconfondibile ed alla originalissima interpretazione corporale che la ha sempre contraddistinta (basti ricordare le pose sensuali e le movenze erotiche sul seggiolino del piano, quasi ad evocare un’estasi sessuale causata dalla potenza della musica), oltre alla maestria nel proporre versioni nuove e potenti dei suoi brani, anche di quelli tratti dai suoi lavori meno riusciti e meno amati.
La serata prosegue nel migliore dei modi con le esecuzioni magistrali di due brani epici della carriera dell’artista americana: “Crucify” e “Precious things” pescate dall’eccezionale album di esordio “Little earthquakes” e inframezzate da una sentita e profonda versione con l’organo Hammond mai presentata prima di “Iieee”, dall’album “From the choirgirl hotel”, il lavoro a mio avviso più sofferto e maturo di Tori, tra l’altro caratterizzato da una perfezione assoluta a livello di suoni, composizione e produzione sotto tutti i punti di vista.
Tori saluta ed esce di scena, solo per essere come di consueto richiamata a gran voce per gli encore. Torna al piano, questa volta con i fan delle prime file in piedi sotto il palco, e allora parte la base di “Cornflake girl”, unica nota leggermente stonata della serata, perché la batteria e i cori preregistrati sono troppo alti e surclassano il piano e perché interrompe anche se solo per poco l’atmosfera intensa creata dal magico connubio del suo strumento con la voce.
Ma per ricreare quell’atmosfera, a lei basta un attimo, basta la potenza della storica opera d’arte “Father Lucifer” (ancora da “Boys for pele”), con bridge anni ’80 eseguito alla tastiera e l’irrompere immenso del piano sulla strofa e sul ritornello.
Io scrivo e sono sempre con la mente a quella sera, non lo scordiamo, adesso sono su quella poltrona in seconda galleria con le mani giunte, ed ho ancora poco tempo per sperare nelle mie preferite (ti prego Tori fammi “Cooling”, “Merman”….), ma è la volta della commovente “Invisible boy” (ovviamente non che mi dispiaccia, sia chiaro…), secondo pezzo della serata tratto dall’ultimo “Unrepentant Geraldines”, (quanto tempo manca? Forse uno, due pezzi? Le mie mani sempre più strette tra loro…ti prego Tori, suonami “Cooling”), ed ecco la stupenda “Tear in your hand”, tratta da “Little Earthquakes”. Stavolta mi sa che è davvero finita, tempo scaduto, infatti Tori saluta, s’inchina, tocca le mani dei supporter assiepati sotto il palco e così come era entrata circa un’ora e mezzo prima, ora va via per davvero, con il suo abito verde brillante e con il mio cuore.
Cos’altro dire di questa artista straordinaria, che dopo un lungo periodo di smarrimento artistico e molto probabilmente anche emotivo è riuscita a ritrovare la forza di rialzarsi, di ritornare alle origini, di ritrovare se stessa, di rimettersi davanti a quel piano sera dopo sera e spaccare tutto?
E’ stato un concerto magnifico e indimenticabile e non importa se il mio posto era lontano dal palco, se l’ho mancata per un soffio al meet and greet del pomeriggio e se non ho sentito i miei pezzi preferiti, perché il 2 giugno ho avuto il più bel regalo di compleanno di tutta la mia vita.
Grazie Tori, tutte le cose finiscono, tutte le cose restano.
(P.S. Però al prossimo concerto non ci sono santi….alle 9 in auditorium e posto in prima fila!!!)