Tom Jones – 24 Hours. recensione

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A un anno dall’uscita, “24 Hours” si fa ancora sentire tra gli echi di un bel ricordo attraversando le porte della percezione per perdere lo spazio e il tempo: Tom Jones, attualmente in tour, si conferma come una delle voci più immortali della nostra storia.

Tutto cambia. E’ inevitabile. Il tempo è un nemico irrefrenabile che trascina via con se tutto quello che gli passa davanti, oppure semplicemente lo trasforma. Negli anni 60, un giovane gallese, figlio di un minatore, si fece conoscere dalle folle per la sua voce, conosciuta come l’”ottava meraviglia”, e grazie ad un brano che diventò il suo cavallo di battaglia. Il titolo: “It’s Not Unusual”, una canzone carica di soul, sesso e donne. In base a ciò, l’immagine del cantante fu classificata come quella di Don Giovanni per anni, ma, giunti al 2008, Tom Jones sembra essersi accorto di avere una certa età. Decide così di accantonare la maschera per rivelare il suo vero aspetto; il rito di passaggio viene segnato dal suo ultimo lavoro: “24 Hours”, un album intimistico che lascia a bocca aperta l’ascoltatore, senza però esaltarlo.

Erano anni che il crooner voleva creare u album del genere, ma il tutto divenne possibile grazie ad una chiacchierata con Bono degli U2, il quale gli suggerì che se voleva riconoscersi nelle sue canzoni avrebbe dovuto scriversele da solo. I produttori non facevano altro che proporgli brani che trattavano di sesso, lo possiamo vedere dal singolo “Sex Bomb” dell’album “Reloaded”, ma il cantante gallese aveva sempre rifiutato, ultimamente, di cantare canzoni che si distanziassero troppo dalla sua fascia d’età. Venne così presa in considerazione la proposta di Bono ed infatti, in “24 Hours”, possiamo notare di come Tom Jones sia il co-autore di ben 8 canzoni. La scelta non fu facile, anche perché c’era chi continuava a ripetergli che sarebbe stato un rischio proporre un “musica antiquata” di questi tempi, ma l’artista fu molto ottimista vista la buona posizione raggiunta da Amy Winehouse, la quale ha il merito di aver resuscitato il genere soul.

L’album non rappresenta certo l’apice della carriera del cantante gallese e non riesce nemmeno a farlo riemergere, poiché in quasi tutto il lavoro l’innovativa manca; la pecca maggiore, ma di questo non si può certo incolpare Tom, è la mancanza dell’ “ottava meraviglia”, la quale accusa gli acciacchi del tempo e rivela molte sonorità sporche. Ciò non toglie che sia ancora estremamente energetica per un sessantenne. “24 Hours” può essere considerato come un percorso intrapreso dall’artista, il quale riemerge dalle ceneri ( I’m Alive ) per parlare ancora d’amore, ma esso non si riferisce a più donne, ma ad una sola: Linda Trenchard, la moglie alla quale confessa di averla fatta soffrire più volte, ma la strada lo riporta sempre da lei ( The Road ). Quest’ultimo concetto è il punto chiave di tutto l’album, poiché la strada significa per Jones il rimettersi di nuovo in gioco e raccontare tutto ciò che gli accade intorno come mai aveva fatto. L’ultima tappa è rappresentata dalla title-track, la quale rappresenta una sorta di confessione intima che rivela l’ultimo stadio della metamorfosi del crooner avvenuta lungo tutto il cd.

Viene ritoccato l’aspetto dell’artista, ma ancora qualcosa c’è, ovviamente visto con degli occhi più maturi ( Sugar Daddy; In Sthyle And Rhythm; If He Should Ever Leave You ). Una cosa risulta bizzarra per lo standard di un disco alla Tom Jones: i vari assoli di chitarra, specialmente quello di “Seen That Face”. Fin qui quasi nulla di strano, ma il disco non esalta più di tanto l’ascoltatore perché manca della single-track: la scelta è ricaduta su “24 Hours” ( brano commovente come una marcia militare contro se stessi ) in cui la sonorità troppo orchestrale non rende il brano interamente radiofonico, come tutti gli altri; vari momenti della giornata possono essere dedicati all’ascolto dell’album, poiché è un mix di ritmi incalzanti ( Feels Like Music ), momenti soul ( The Hitter – il brano più lungo che permette ampio spazio di manovra alla voce del cantante gallese) e delicate ballate, tra cui l’eccellente “Seasons”.

C’è un’altra cosa di cui si può essere soddisfatti: lo stile musicale si avvicina molto al vecchio Tom Jones, poiché negli ultimi anni, grazie a continue collaborazioni, avevamo avuto l’occasione di vedere l’artista avvicinarsi a un suono più dance e pop. Ma per fortuna, il tempo ha tolto il primo sound, il quale non dispiaceva alle folle e non considerava inadatta la voce del crooner, ma per un artista di tale rango la discoteca è l’ultimo dei posti in cui dovrebbe sentirsi l’ “ottava meraviglia”.

Tom Jones sembra pentito del suo passato, ma è pur vero che tutt’ora cerca nello stile il riscatto per un’infanzia grama. “24 Hours” è la prova che tutto cambia: anche i Don Giovanni diventano angeli redentori. L’album non va oltre la sfera della curiosità: da avere solo se si sa di cosa si sta parlando.