0036Thelonious Monk – Thelonious Monk
Thelonious Monk è diventato, nell’arco dei quindici anni della sua carriera, uno dei maggiori compositori del jazz. Il suo trio con Percy Heat e Gary Mapp al basso, Max Roach e Art Blakey alla batteria (ovviamente alternati) rende questo cd uno dei più belli in assoluto della sua produzione.
Mok fu un pianista eccellente, anche se il fatto di essere autodidatta, dicono, lo abbia limitato tecnicamente. Il suo modo di suonare era privo di virtuosismi, quasi elementare, ma con un uso delle dissonanze , dei silenzi e della melodia che poco hanno di simile nell’intera storia del jazz . Ritrovo delle somiglianze con il piano di Jarrett, ma quando suona da solo e solo quando cerca di catturare e rielaborare una melodia nei suoi concerti dal vivo. Ma sono sprazzi, attimi difficilmente quantificabili.
Little Rootie Tootie, forse uno dei pezzi più conosciuti di Monk è un esempio del suo modo di suonare. Dedicata al figlio, vuol richiamare un treno con i suoi rumori e i suoi fischi. L’intesa che ha con Blakey in questo brano ha del prodigioso, pur mantenendo infatti il suo piano un aspetto prominente si scambia rapidamente con la batteria, in un pieno di suoni entusiasmente.
Just a gigolo, interpretata in crescendo è praticamente un assolo di piano che prende spunto dalla melodia originale solo per volare alto nel “riaggiustare”, qua e là, un motivo forse troppo lineare per la personalità di Monk. Alla fine, pur essendo riconoscibilissimo, questo standard si illumina di luce nuova, a tratti malinconica, appassionata.
Bye-ja è costruita su una figura ritmica che poi si libra nell’aria e assume la fisionomia dell’improvvisazione, vestita dal basso e dalla batteria di Mapp e Blakey. Da notare che in praticamente tutto l’album non ci sono evidenti passaggi di consegne da uno strumento all’altro, nel senso che non ci sono evidenti assoli se non del piano. Basso e batteria hanno il loro equilibrio come spalle di Monk ma non ne escono mai svilite. Le personalita dei vari strumenti sono sempre ben visibili, mai sovrastate, mai penalizzate. L’armonia assoluta che emanano i musicisti è disarmente.
E’ impossibile criticare questo cd in quanto perfetto sotto ogni punto di vista. Intesa con basso e batteria, arrangiamenti feeling con l’ascoltatore sono ai massimi livelli, coinvolgendo con una disarmante semplicità. E’ forse questo l’aspetto più appariscente del disco. La solo apparente semplicità della musica che propone, l’ingannevole mancanza di picchi di genio.
Non si può non mettere in risalto poi, che due dei componenti del trio che ha accompagnato Monk in questo cd sono essi stessi due mostri sacri del jazz. Art Blakey e Max Roach, entambi alla batteria, hanno ugualmente segnato questo genere in modo indelebile. La fortuna degli appassionati degli anni 50 -70 era proprio questa, poter vedere un concerto in cui in un trio o un quartetto potevi trovare Miles Davis, Coltrane, Monk, Roach, ovvero il meglio del jazz del periodo.
La registrazione è buona, così come il riversaggio in digitale anche se vista la data di pubblicazione di questo cd, il 1952/54, non ci possiamo aspettare miracoli. Troviamo però l’atmosfera di un locale fumoso, magari malfamato di Harlem, con belle donne ai tavoli e gangster che organizzano i loro traffici davanti a un bicchiere di wisky di contrabbando….. ah bei tempi ;).
Concludendo, questo cd è eccelso in tutte le sue sfaccettature ed è un esempio di quello che è stato Monk, artista di cui continueremo a parlare in futuro in modo approfondito. Ma ora, per piacere, lasciatevi travolgere dalla sua musica appena potete, vi farà entrare dalla porta principale nel mondo del jazz.
Quello vero.
Con la J maiuscola.