The Erotik Monkey” Tutti i colori del buio”, recensione

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Arrivano da Capoterra , centro industriale della regione di Campidano di Cagliari, un ex oppidum da quale i The erotik monkey sono partiti come power trio nel 2007, spinti da un urgenza narrativa figlia di una realtà soffocante e boriosa. Una ripetitività sociale che all’ombra di Cabuterra, appare elemento fondante della genesi sonora di una band pronta a conquistare l’ascoltatore attraverso le note alternative di Tutti i colori del buio. Il loro (terzo) full lenght arriva a svilupparsi attorno ad una concettualità di un duro e semplice do it yourself, proponendo sonorità ansiogene, ridondanti ed incattivite, specchio di un retroterra socio culturale mai nascosto dalla band, che si presenta oggi in formazione allargata. Infatti gli isterismi sonori si avvalgono oggi del supporto di Corrado Cardia, che si ritrova a proprio agio tra le schizofreniche svisate di Andrea e della sua sei corde, strumento fondante di una partitura legittimata da una sezione ritmica battente ed una vocalità folle e cartavetrata.

Nelle idee dell’ensemble la necessità espressiva si unisce alla risolutezza dello sperimentare e ad una fisiologica maturazione musicale, dovuta probabilmente ai cambi di line up o forse ad un inevitabile processo di focalizzazione, che si avvale qui del mastering di Magnus Lindberg dei Cult of Luna.

L’album, nascosto dall’ottima cover art, si apre a strutture variabili, lunatiche e oscillanti, che all’interno della necessità espositiva offrono all’ascolto una serie di passaggi insani ed instabili, riuscendo ad alimentare un andamento mutevole, assestabile tra violente esplosioni stoner e morbidezza funzionale al pathos narrattivo.

L’album, pur concedendo alcune licenze armoniche, offre una struttura composita e ben strutturata proprio come dimostrano Voci ed in modo particolare L’alito del doposole, di certo annoverabile tra i brani più interessanti. Il drum set definisce un buon tecnicismo messo al servizio di una profonda partitura, le cui ritmiche racchiudono uno sviluppo inquieto e ridondante, la cui angoscia narrativa viene caricata da una struttura vocale sofferta nel suo sussurrio, atto preparatorio alla rabbia imminente.

Gli intarsi stoner, chiari altresì nella meno riuscita Tempo e cambiamento, sostengono l’andamento irregolare, pronto a contorcersi verso i nodosi cambi di ritmo Golden gate bridge, definita da spigoli vocali che raccontano piccole storie. Se poi con Non pensi la violenza espositiva è calmierata da una chitarra acustica, è con Calendule che si evidenziano i reali tratti della band, le cui sonorità si avvicinano all’aspetto sonico di Petula Clarck e Le scimmie. Il cadenzato andamento in battere, infine, porta con sé cerchi e riverberi, pronti ad allacciare interessanti lineamenti ed estensioni emozionali.

A completare la release è la suite Nel giorno della mia morte , splendidamente frastagliata nel suo essere discendente dall’anima free, pronta ad alternare aperture ad impostazioni cupe e nereggianti, in un andamento riflessivo che rispecchia l’anima nascosta del disco.