The Bunions Bradford Funeral & Marching Band
Bill Cosby da queste parti evoca principalmente il dottor Robinson, capofamiglia di una delle sit-com di più grande successo nel nostro paese, seppur storpiata nel cognome dei protagonisti (in originale Huxtable, impronunciabile per l’italiano medio). In USA quello era il “Cosby Show”, punta dell’iceberg per la carriera di uno degli “entertainers” di massimo livello dai primi anni 70 in poi.
Noto per i suoi spettacoli a teatro, per le sue parti in diverse produzioni televisive e per la creazione di storici personaggi quali il mitico cartone Fat Albert, Bill Cosby era ed è un grandissimo appassionato di musica.
E se anche durante la sua sit-com abbiamo avuto testimonianze del suo amore per il jazz (indimenticabile la puntata in cui Dizzy Gillespie era ospite d’onore) è invece più raro venire a contatto con le sue esperienze dirette nel mondo musicale.
A dire a verità sui siti internet specializzati è facile imbattersi in cd a suo nome che però per la quasi totalità sono suoi spettacoli ripresi in audio, trend in voga ancora oggi per i comici di maggior fama negli Stati Uniti. Esiste però una mirabile e rara eccezione, che solo i “crate diggers” più attenti conoscono: Badfoot Brown and The Bunions Bradford Funeral & Marching Band. “File under jazz/funk/soul – not comedy”. Questa è la specifica scritta nel retro di copertina nella preziosa ristampa della Dusty Groove, etichetta indipendente fondamentale per scoprire chicche del genere.
E se questo in parte la dice lunga su cosa aspettarsi da questo lavoro, dall’altra è solo un segmento minuscolo della storia.
L’album infatti, uscito nel 1971, è uno dei migliori condensati delle tendenze incorporate nel jazz elettrico cresciuto ed evolutosi da “In A Silent Way” in poi. E chiunque pensi di associare l’immagine leggera e trasversale del Bill Cosby televisivo in queste note non potrebbe essere più lontano dalla realtà.
Si tratta infatti di musica intensa, a tratti cupa e misteriosa, proprio come l’assenza di una lista ufficiale di musicisti utilizzati per queste sessioni. Due lunghi brani compongono l’album e specialmente per il primo ci si può avvalere delle bellissime note originali di Bill Cosby stesso riportate nell’interno di copertina. “Martin’s Funeral” è infatti un tributo a Martin Luther King, composto in occasione del suo funerale con l’intenzione di catturare lo stato d’animo di un popolo che ha perso un importante e carismatico leader.
Allora nei 15 minuti abbondanti sentiremo alternarsi e fondersi un basso che parte lentamente fino a diventare vibrante, chitarre elettriche, fiati, organi hammond ed il piano Rhodes suonato proprio da Cosby. Ci sono passaggi tetri e quasi atonali che Cosby nelle note riconduce alla voglia di rappresentare l’ostlità e la rabbia, certamente presenti in quel triste giorno. Musicalmente innegabile l’influenza del Miles Davis elettrico ma anche del funk primordiale con le sue armonie distorte e nei suoi ritmi pungenti.
I venti minuti di “Hybysh Shybysh” invece sono un incredibile jam-session organizzata, psichedelica, fantastica e notturna, che si dirama nella discrezione di chitarre elettriche gentili ma insistenti, lasciando spazio a più assoli, tra cui uno notevole di Cosby al piano Rhodes, poi le percussioni tribali e l’irrompere dell’armonica che danno un tocco esoterico ed esotico, una sorta di via di mezzo tra l’Herbie Hancock nel periodo Mwandishi ed il rock latino dei War.
Certamente l’influenza di Miles Davis, peraltro dichiarata nelle note, è anche qui tangibile, in particolar modo se si pensa ai suoi lavori più estremi come “Live/Evil” o “Dark Magus” ma ci sono anche sprazzi di jazz nella sua forma più pura riconducibili a Duke Ellington e soprattutto a Charles Mingus, specialmente nell’approccio al ritmo e nel rapporto basso-piano. Tra i musicisti che si vocifera, in vie più o meno confermate, avessero partecipato al progetto, figurano Big Black alla batteria ed alle percussioni (fondamentale il suo lavoro), di Albert Hayes al basso e di Lee Oskar dei War all’armonica di cui sopra.
Ma sicuramente la lista che non esiste sarà piena di nomi dal talento infinito. Ma crediti a parte, questo è un album di strepitosa importanza per fotografare un’epoca dal punto di vista musicale e sociale ed è un concentrato di groove e funky sound difficilmente imitabile.
Consigliato agli amanti di Miles, di Coltrane, di Sly e di James Brown, dei Grateful Dead e di Jimi Hendrix. Consigliato a chi vuole fare un viaggio nella storia della musica e sentirsi proiettato in un’era senza tempo con un disco di quarant’anni fa.