The Book of Souls – Iron Maiden – recensione cd
Chi ha già letto alcune mie recensioni, sa che non sono di certo un metallaro, semmai un ascoltatore che potremmo definire “onnivoro”. E così, quando mi passano sotto dei dischi degni di nota, non mi tiro mai indietro, al di là del genere musicale. Riconosco ad esempio che un disco degli Iron Maiden, nel panorama musicale mondiale, rappresenti comunque un evento, visto che la band inglese ha fatto la storia del rock (chiamatelo hard, heavy….comunque sempre di roba tosta si tratta) e, dopo ben un lustro di silenzio, si presenta con il suo primo doppio album in studio della propria carriera.
In realtà, il numero dei pezzi non è affatto elevato (sono 11), ma la loro lunghezza (l’ultimo brano è di 18 minuti) ha evidentemente richiesto più spazio. La stessa lunghezza dei brani, poi, richiama facilmente alla mente il concetto di progressive e, in effetti, così come già accaduto nel predecessore “Final frontier”, possiamo dire che lo stile dei Maiden è, almeno in parte, evoluto anche in quella direzione. Tuttavia gli elementi distintivi del passato restano tutti, come ad esempio la maestosità degli assolo (il più bello, forse, quello di “When the river run deeps”) e la generale tendenza all’epicità dei testi, con le loro storie che spaziano dal fantastico, al magico fino al trascendente, ancor più evidenziata dall’interpretazione enfatica del vocalist (emblematica la massiccia cavalcata di 10 minuti della title track) .
A proposito di tale approccio, la canzone “If eternity should fail” che apre questo “libro delle anime” comincia con un lungo intro di tastiere che sembra estratto da un film postumo di Sergio Leone, con la voce di Dickinson che, solo parlando, ti accompagna per mano alla prima attesa cascata delle mitiche tre chitarre metal e dei ritmi forsennati della sezione ritmica che, esplodendo, suonano riconoscibili come lo sarebbe la firma di Dalì su un suo quadro.
Il singolo “Speed of light” dal refrain quasi radiofonico (con tutte le particolarità del caso), ci ricorda che nella gloriosa storia di Steve Harris e soci ci sono stati pezzi come “Wasted years” o “The evil that men do” dall’affascinante anima melodica. In fondo metal non deve significare necessariamente solo “muro del suono”, ma è più che gradita una più ampia accessibilità, se vogliamo ben accetta anche dai fan più accaniti. Questi ultimi troveranno comunque pane per i loro denti nell’instant classic “The red and the black” che parla indistintamente di morale ormai alla deriva, bugie di massa e demoni scatenati, per i quali vale la pena pregare tentando di salvarsi. Con quei suoi cori trascinanti fatti di “oh oh oh oh” sembra concepita per immensi stadi urlanti che, sicuramente, riempiranno i concerti degli Iron Maiden nella prossima estate. Anche in questo caso “i ragazzi” non hanno di certo avuto il timore di dilatare troppo il pezzo, visto che supera addirittura i 13 minuti.
Ma come detto qualche riga più su– in termini di dimensioni – il top viene toccato con la finale e straripante “Empire of the clouds”, scritta interamente da Dickinson, che inizia con una sessione prolungata di piano (suonato da lui stesso) e di archi. Il mood di partenza è da ballata e ha tutte le carte per lasciare il segno come già in passato lo fece “Rime of the ancient mariner” (che chiudeva Powerslave”). Ma dopo ben 7 minuti il pezzo subisce una metamorfosi radicale con lunghi assoli di chitarra che prendono il sopravvento, aumentando progressivamente il ritmo, passando da mid ad uptempo in men che non si dica. Alla fine, come in una sorta di circolo, la tempesta nell’impero delle nuvole si placa e tornerà la quiete. In una parola “Epica”.
Chiudo dicendo che i pezzi non citati (in particolare “Tears of a clown” e “Death or glory”), per motivi di sintesi, sono tutti all’altezza delle aspettative e per questo motivo non si può non considerare “The book of souls” il disco heavy che molti aspettavano da anni, pur sapendo perfettamente che “Peace of mind”, “Somewhere in time” e “The Number of the beast” resteranno qualcosa di inarrivabile. Ma questo lo sapevamo già.