Terrae – Unknown people, recensione

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Questo è un progetto di world music particolare. Magari non unico al mondo, ma con delle specificità che non sono ovunque. E’ perciò il caso di parlarne al di là dei singoli contenuti relativi ad ogni brano della tracklist.

Terrae affronta un argomento, un tema, e lo porta avanti lungo il lavoro dandogli un senso ed un valore che quindi lo portano automaticamente oltre il generico disco world. Si parla di chi, in Sicilia, nel tempo si è battuto per una libertà cercata, voluta, e che quando ha dovuto perdere ha perso per un’inferiorità di forze rispetto ad un avversario sporco e, intrinsecamente, cattivo, manifestato direttamente dallo stato o indirettamente tramite elementi più o meno conniventi. C’è dentro quindi quasi l’urgenza di parlare di una Sicilia che vuole uscire da stereotipi che negli anni (nei secoli, diremmo) si sono via via calcificati. Escludiamo che il lavoro di cui stiamo parlando possa in sé cambiare le cose sull’argomento, ma sicuramente va sottolineata quella che è più di un’intenzione e che si concretizza in un progetto dai sapori certamente di terra e popolo, e quindi anche affascinanti, ma anche radicali nel messaggio e spesso anche nella modalità con cui questo viene veicolato, come inizio e fine del CD esemplificano chiaramente in un coro di carcerati che sa aggredire.

La musica, dicevamo: violino, chitarra, contrabbasso, percussioni ed elettroniche, diverse collaborazioni e tanta voce, di tutti e di senso, a raccontare storie che non vogliono assolutamente far da cartolina alla Sicilia ma che sono testimonianza di una wrold music necessaria, quasi documentale pur rimanendo musica e quindi mantenendo una godibilità di livello assolutamente valido, reso anzi elevato, in questo lavoro, dalla perizia dei musicisti e da brani che, tradizionali o nuovi che siano, non si tirano indietro quando c’è da incrociare i suoni locali con idee di provenienza altra, senza per questo realizzare un patchwork che troppo spesso è accozzaglia di esotismi.

Una musica così può non piacere, lo diciamo. Non ci sono coloriture da paese in fiera, non si fa l’occhiolino a tendenze di qualche tipo, non ci si fa belli d’altro che di musica ben suonata ed assemblata e di testi dei quali viene fornita nel CD stesso la traduzione. C’è pulsione ritmica ma non ti viene di chiamarla groove, c’è amore per la terra ma non ti viene di limitarti a parlare di tradizione. Per certi versi è un disco che Peter Gabriel si è scordato di pubblicare per la Real World. Bisogna aver voglia di ascoltarlo, questo lavoro, perché praticamente non ammicca mai, si rifiuta di fare il sottofondo e scalcia appena lo si tiene di lato facendo altro. Insomma, facile no, interessante sicuramente, con autonomia e personalità da vendere. Alla vostra pancia il resto, ma la world music di qualità non è poi tantissima… Date e prendete intanto un ascolto!