Sweet Talks – Holliwood Highlife Party
L’highlife è il fenomeno musicale che ha influenzato forse più di ogni altro la musica dance dell’intero continente africano, e Hollywood Highlife Party degli Sweet Talks è, a detta di molti, il migliore – o il più rappresentativo – album di highlife di tutti i tempi. Non è esagerato quindi definire questo disco un’autentica icona della musica popolare africana.
E’ superfluo dire che, accingendosi ad ascoltare la riedizione in CD di un tale evento sonoro, viene spontaneo essere grati alla Popular African Music, una casa discografica nata dalla passione del DJ, studioso e ascoltatore tedesco Gunter Gretz. Nel bel catalogo della P.A.M. questo album occupa forse il posto di maggior rilievo.
Highlife vuol dire “dolce vita”, quella che si svolgeva a partire dalla prima metà del secolo scorso nei lussuosi night-club sulla costa atlantica del Ghana, nei quali orchestre scatenate suonavano musica da ballo per i coloni e per la borghesia locale, vestiti con costosi abiti di taglio europeo. Quelle orchestre, basate soprattutto sugli ottoni, suonavano una miscela di jazz, valzer, foxtrot e musica latino-americana, ed erano uno dei due volti della musica ghaniana di allora. L’altro volto era costituito dalla musica palm-wine, più rustica e rurale, basata fondamentalmente sulla chitarra acustica, introdotta in Africa dai marinai, accompagnata da percussioni e cori.
Durante gli anni ’50 l’highlife delle orchestre da ballo esplose in Ghana e nel resto dell’Africa Occidentale, affermandosi in modo particolare in Nigeria e nei paesi anglofoni, evolvendo da armonie e arrangiamenti tipicamente europei a musica meticcia, in cui vennero reintrodotti gradualmente elementi ritmici e costruzioni tradizionali. Ciò avvenne soprattutto a partire dall’orchestra di E. T. Mensah and the Tempos, indiscusso re dell’highlife ghaniano, e ai Black Beats di King Bruce, entrambi rintracciabili nel catalogo della meritoria etichetta londinese RetroAfric. Ascoltateli pure se siete curiosi, ma sappiate che quelle vecchie registrazioni sono pessime, e che la loro musica suona oggi decisamente datata.
Nonostante il supporto del governo di Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana dopo l’indipendenza ottenuta nel 1957 e pilastro della dottrina della decolonizzazione africana, l’highlife perse lentamente la sua attrattiva. Ritornò a far vibrare le notti di Accra e di Kumasi solo negli anni ’70, grazie a giovani band come gli African Brothers di Nanah Ampadu e gli Sweet Talks, le quali elettrificarono e reinterpretarono il vecchio highlife per chitarra, accelerandone i ritmi, riadattandone i testi e rendendolo più profondamente tradizionale ma anche moderno.
Gli Sweet Talks nacquero nel 1973, all’hotel Talk of the Town di Tema, ad opera di A. B. Crentsil, voce, Smart Nkansah, chitarra e Pope Flynn, voce, a cui in seguito si unirono un altro cantante, Jewel Ackah e il chitarrista Eric Agyeman, che sostituì Nkansah e che fu, a partire da allora, tra i protagonisti del nuovo panorama musicale ghaniano. Crentsil era il leader indiscusso della band, autore di gran parte della musica e dei testi, la cui voce inconfondibilmente roca e sanguigna e il cui modo di cantare e di raccontare storie, intrise di alcool, sesso e quotidianità, rappresentano il sapore fondamentale della musica degli Sweet Talks.
Hollywood Highlife Party fu registrato all’apice della loro carriera, durante il tour negli Stati Uniti avvenuto nel 1978. Il gruppo era allora piuttosto nutrito: oltre a Crentsil e Agyeman, era presente una massiccia sessione ritmica, composta da J. Y. Thorty alla batteria, George Ghansah alle congas, Ekow Tuyee alle percussioni ed E. “Cropper” Akuffo al basso, da Prince Nana Afful alle tastiere e John Koko alla chitarra ritmica, da una sezione di fiati e dal supporto di Tony Mensah alla voce. In particolare, la presenza della sezione di fiati lascia intuire il tentativo degli Sweet Talks di sintetizzare in un unico sound le due radici originali dell’highlife, quella delle orchestre da ballo e quella per chitarra, riuscendoci anche molto bene.
Ciò che rende la musica di Hollywood Highlife Party assolutamente straordinaria, un autentico archetipo dell’afro-dance, è l’amalgama sonoro perfettamente compatto e vibrante, che la band riesce a produrre, sul quale il timbro inconfondibile della voce di Crentsil si intreccia ai controcanti e al contrappunto del coro. Il ritmo della batteria e delle percussioni ricorda da vicino il primo soukouss degli anni ’70, ma è più snello, agile e leggero, così come i riffs di chitarra elettrica, caratterizzati dagli accordi in minore, sono meno invadenti dello stile congolese, formando un tessuto fitto ma discreto, che dà poco spazio a virtuosismi fini a sé stessi. Anche i fiati si limitano a introdurre i brani e a sottolinearne qua e là la trama sonora rafforzandone il groove, accennando appena qualche solo. Le armonie europee dell’highlife classico eccheggiano ancora, sbiadite, sullo sfondo del ritmo incalzante e delle voci graffianti dal suono sporco, entrambi elementi forti dell’estetica musicale africana.
Lo stile canoro anarchico di Crentsil è uno degli elementi più caratterizzanti del sound targato Sweet Talks. Alle parti cantate si affiancano lunghi brani recitati e interpunzioni vocali dalla funzione ritmica, che imprimono forza al groove. I testi delle canzoni, di cui le note di copertina riportano una sintesi, trattano i temi della vita quotidiana in una società difficile: delle difficoltà di un marito di rimediare il denaro sufficiente a far vivere decorosamente la famiglia (Nawa to be husband), dell’amore a prima vista per Juliana (Only your voice, Juliana), incontrata per caso, di sospetti di adulterio per la moglie Angelina, dell’inevitabilità del morire che comporta la necessità di gioire del vivere (Ehurisi), della varietà della cucina ghaniana e delle donne che la preparano (Ye wo adze a oye).
I primi 5 brani fanno parte dell’album originale, che fu anche l’ultimo pubblicato dagli Sweet Talks. Dopo di esso Crentsil formò i Super Sweet Talks International, con i quali pubblicò alcuni altri album. Gli ultimi 4 brani appartengono a Moses, disco del 1983 pubblicato da Crentsil con la sua nuova formazione. Il pezzo forte di questa seconda sezione è il lungo Moses, di cui viene fornita una traduzione, che dura oltre 16 minuti. E’ un brano di ispirazione biblica tutto giocato su doppi sensi a base di umorismo volgare, che termina con il coro che reitera ossessivamente una richiesta: “push, push, push it deep Moses”.
Hollywood Highlife Party è un disco che non può non figurare in qualsivoglia collezione di musica africana che possa definirsi completa, o anche semplicemente essenziale. Io suggerisco anche ai non collezionisti di cercarlo comunque, non soltanto per la sua rappresentatività, ma anche – e soprattutto – per la sua incredibile piacevolezza.