Super Mama Djombo – Super Mama Djombo
Confesso di essere orgoglioso di presentare i Super Mama Djombo e, con essi, la musica di un paese poco noto, forse trascurato, come la Guinea Bissau, ex colonia portoghese che si affaccia sul golfo di Guinea tra il Senegal e la Guinea Conakry e che raggiunnse l’indipendenza, da ultima, soltanto nel 1974. La lotta di liberazione condotta congiuntamente a Capo Verde contro il Portogallo del dittatore fascista Salazar durò oltre 10 anni, e si concluse subito dopo l’assasinio dell’allora leader dei guerriglieri indipendentisti, il capoverdino Amilcar Cabral, che precedette di poche settimane il ritiro definitivo di Salazar da Bissau e finalmente il crollo della sua dittatura in patria. Il primo presidente della Guinea Bissau fu il fratello di Amilcar, Luiz Cabral, il quale governò per sei anni prima di perdere il potere a causa di un colpo di stato operato da Nino Vieira, che avvenne appena pochi mesi dopo la registrazione di questo album.
Durante i lunghi anni della guerriglia clandestina si formarono in Guinea Bissau alcune giovani orchestre, tra cui la Cobiana Jazz e i Super Mama Djombo che, spinti dall’adesione ideale, offrirono la loro musica a sostegno entusiastico del movimento per la liberazione. Come avvenne per altre nazioni africane liberate, anche la Guinea Bissau post-coloniale adottò il modello marxista. In ambito musicale, analogamente a orchestre come Bembeya Jazz, che a Conakry cantava le lodi del dittatore-eroe Sekou Touré, le giovani orchestre di Bissau, oramai cresciute, raccontavano le storie della rivoluzione anti-imperialista e tessevano le lodi di Luiz Cabral.
Mama Djombo è, nel pantheon locale, uno spirito femminile dai grandi poteri, invocato dai guerriglieri nascosti nella foresta per proteggere il movimento di liberazione. Un nome, un simbolo che da solo rappresentava l’ideale di indipendenza e decolonizzazione di cui l’orchestra era stata portavoce. I Mama Djombo divennero ben presto l’orchestra di rappresentanza del governo di Cabral, che accompagnarono nei suoi spostamenti in giro per l’Africa lusofona, suonando a Capo Verde, in Mozambico e in Angola, oltre che in Europa.
Dopo anni di concerti dal vivo, i Mama Djombo, divenuti oramai Super, entrarono per la prima volta in uno studio di registrazione a Lisbona. Era il 1980, e incisero in pochi giorni l’intero loro repertorio, oltre sei ore di master, materiale dal quale uscirono un paio di dischi, mentre il resto rimase inedito. L’album di cui parliamo oggi è un estratto di quell’unica sessione di registrazione, pubblicato a distanza di oltre 20 anni dalla minuscola etichetta californiana Cobiana Records, la quale ha prodotto fino ad oggi solo altri due dischi, entrambi di Ze Manel, batterista degli stessi Mama Djombo.
Proprio in quel periodo l’orchestra stava mostrando il suo coraggio, scrivendo e suonando alcune canzoni i cui testi criticavano la politica dittatoriale del governo di Cabral. Coraggio che aumentò quando, pochi mesi dopo, salì al potere il despota Nino Vieira, il quale non gradiva affatto le critiche, neanche se provenivano da un vero e proprio simbolo nazionale come i Djombo. Iniziò così il loro boicottaggio, che divenne in breve una vera persecuzione e che costrinse l’orchestra a scogliersi nel 1982.
Raccontata la loro storia, parliamo ora della loro musica. Super Mama Djombo è formata da musicisti straordinari, di cui alcuni hanno iniziato a suonare assieme ancora ragazzini. La maggior parte di loro era conosciuta per i pittoreschi soprannomi: l’autore e bandleader Adriano Gomes Ferreira, detto “Atchutchi”, in qualche modo rappresentava l’anima e la coscienza del gruppo. La base ritmica era assicurata da un grande batterista, “Ze Manel” e da “Chico Karuca” al basso elettrico, oltre a due percussionisti: Armando Pereira e Joaozinho Sambu. Accanto ad essi ben quattro chitarristi intrecciano le loro acrobazie ritmiche e armoniche: le chitarre ritmiche di Serifo Banora e di “Miguelinho”, ma soprattutto, gli stratosferici solisti Joao Mota e Manuel “Tundu” Fonseca, che svettano entrambi da un’altezza davvero notevole sull’intera orchestra, competendo, a mio parere senza sfigurare, con i grandi chitarristi africani di quegli anni, eroi come Sekou Diabate di Bembeya Jazz, Djelimadi Tounkara di Rail Band, o lo stesso Franco Luambo di OK Jazz. Infine i cantanti: tra coro e solisti sono sei: Antonio Manè, Lamine Baldè, Carlos Baba Kanoute, Dulce Neves, Cesario “N’Tchoba” Morgado ed Herculano Pina Araujo. Da notare l’assenza di fiati e tastiere, di cui, grazie al talento e all’affiatamento dei quattro chitarristi, non si sente affatto la mancanza.
Le atmosfere della musica dei Djombo sono chiaramente lusofone, parenti dunque del fado, della morna e della coladeira capoverdine e, più alla lontana, del samba. I brani sono tutti cantati in kriolu, il portoghese africanizzato delle ex colonie. Ascoltarli è un’esperienza toccante, sia nei pezzi più chiaramente ballabili che, soprattutto, nelle ballate malinconiche dal fortissimo impatto emotivo, che narrano – lo si intuisce – di temi importanti, che riguardano gli ideali, le lotte e la loro stessa vita. Come in Gardessi, la lunga traccia 3, un mid tempo in cui, tra gli emozionanti soli di chitarra, si citano i protagonisti della decolonizzazione, da Kwame Nkrumah a Sekou Toure a Nyerere, ad Agostinho Neto fino allo stesso Luiz Cabral, definiti “eroi” della lotta anti-imperialista, oppure in Guinee-Cabral, un pezzo di lode per Cabral analogo al celebre Mandjou di Salif Keita, dedicato a Sekou Touré.
Accanto ad essi brani più marcatamente dance, che trasmettono l’energia e la voglia di vivere e di ballare tipiche della musica delle orcehestre africane, quali Dissan Na M’Bera, in cui spicca la voce sensuale da soprano di Dulce Neves, o Seiango, dalla struttura fortemente tradizionale, a Pamparida, uno dei grandi successi della band, dai forti accenti caraibici. La compilation è ben assemblata, e permette di farsi un’idea precisa dello spessore e dell’originalità del groove dei Mama Djombo. Le incisioni effettuate in Europa, già buone all’origine, sono state rimasterizzate e rese ancora migliori, mantenendo però intatto il suono caratteristico di microfoni ed amplificazioni dell’epoca. Il resto dei particolari, dalle foto alle informazioni contenute nel libretto, sono anch’essi di elevato livello qualitativo.
Insomma, un altro bel disco del periodo d’oro, che testimonia un sound che, grazie all’influenza portoghese, si differenzia dalla musica dei paesi vicini, e la cui qualità compositiva e interpretativa è dovuta sia alla grande coesione sonora dell’orchestra nel suo insieme che allo straordinario talento di alcuni suoi solisti. Un disco altamente godibile e originale, che può essere apprezzato per molti motivi: dalla sua capacità di rappresentare l’affascinante contesto culturale dell’Africa in pieno processo di decolonizzazione, al romanticismo fiero e melanconico delle atmosfere equatoriali che magicamente si materializzano durante il suo ascolto.