Sula Ventrebianco “Più niente”, recensione
“Una sorta di perfezione imperfetta, mai simile a null’altro, mai simile a sé stesso.”
Mi sono chiesto se questo disco possa essere considerato tra i miei personalissimi dischi del mese. Però, a differenza di altre occasioni, me lo sono chiesto solo due volte, perché quando mi sono reso conto di non riuscire a smettere l’ascolto, ho implicitamente palesato la risposta.
Più niente è a mio avviso un disco molto lontano dall’odierna politica dell’usa e getta; è un disco che ha le potenzialità di rimanere e, per quanto oggi possibile, storicizzarsi, grazie ad idee, coraggio e stile.
Ma partiamo dall’inizio, quando un quartetto di musicisti partenopei decide nell’anno domini 2007 di avventurarsi in un nuovo mondo chiamato Sula Ventrebianco. La band, senza troppi dubbi ascrivibile nell’elenco delle attuali migliori band underground, arriva oggi ad una nuova fatica etichettata Ikebana e definita in maniera estetica da un ottimo booklet. Un opera artistico-visiva che, per merito della meravigliosa photo session, riesce a metaforizzare contenuti ed intenti, perseguendo l’allegoria di una vita da vivere cogliendo attimi e sensazioni.
Percezioni che non mancano di certo durante un itinerario sonoro prono a condurre l’ascoltatore attraverso perdute intuizioni analogiche, originalità, armonie e dissonanze, che rendono questa quarta opera l’apice espressivo di una band che da dieci anni riesce a parlare ad un target esteso, meritando un salto verso l’accettazione mainstream.
Ad introdurci tra I vasi sanguigni del cuore di ghiaccio immortalato dalla cover art è il giocoso e zufolante intro di Yellowstone, pendice strumentale atta a indicarci la via attraverso un suono semplice ed accogliente, in cui la distorsione battente si unisce ad una curiosa reiterazione del suono, pronto a raccontarsi con Sale in sogno. L’impronta sonora, molto vicina ai primi Lombroso, riesce sin dalle prime note a definire i contorni di un disco ben strutturato, non solo a livello di songwriting, ma anche per merito di riusciti arrangiamenti.
Proprio dalle prime tracce sonore si riesce a percepire la solida base di una variegata setlist, tanto coerente ed omogenea quanto diversificata , proprio come dimostra la calmierante narrazione di Diamante. La composizione, posta su di un semplice e lineare pattern, guarda a piacevoli suoni post, la cui morbidezza viene ingemmata dagli archi di Francesca Masucci, Eleonora Ciervo e Pasquale Termini.
La canzone, spezzata in favore dell’aurea punk di Whormhole, porta poi le sensazioni verso i Fratelli Calafuria e Gerson, senza dimenticare però onirici spiriti synth.
Il disco, realizzato in sinergia con Goodfellas, prosegue poi verso la perfezione di Una che non resta e Merak, prima di perdersi in un’eccessiva diluizione dei tempi (personalmente avrei preferito un disco più breve). Però, nonostante l’elevato numero di composizioni (16), il disco regge piuttosto bene grazie a percorsi sonori (Metionina) dal suono più scuro, definito da un ricco e profondo inciso, attorno al quale vivono stop-and-go e perfettibili backchorus.
Se poi con Attraverso il modo della band mostra uno sguardo alle sonorità anni ‘60, qui rivisitate da un sound contemporaneo, con Dubhe ci si ritrova sulle rive di uno stoner inatteso, in grado di raccontare con poche solitarie note il lato anticipatorio del rock progressivo e divergente di Arva.
A chiudere il disco è infine Amore e odio , traccia in cui la narrazione pacata e visionaria mostra ancora una volta l’emozione degli istinti musicali da cui emerge un impercettibile e stranito stile folk alternative.
1. Yellowstone
2. Sale in sogno
3. Diamante
4. Wormhole
5. Una che non resta
6. Subutecs
7. Merak
8. L’ade a te
9. Arkam Asylum
10. Metionina
11. Attraverso
12. Resti
13. Dubhe
14. Arva
15. Batticarne
16. Amore e odio