Storie dell’altra Italia, recensione
A qualcuno sembrerà un esagerazione, ma dopo Gang e i suoi fratelli e La Rossa primavera, usciti a ruota in pochi mesi, eccoci a parlare nuovamente dei Gang, oggi in stretta collaborazione con Massimo Priviero e Daniele Biacchessi.
Questa volta, infatti, i fratelli Severini si adoperano per la registrazione in presa live di Storie dell’altra Italia, un’Italia capovolta, raccontata da un doppio disco, fatto di storie che, come dice l’autore Daniele Biacchessi, non possiamo dimenticare, per evitare che cadano nell’oblio, prima che un giorno qualcuno ci possa dire che quella di Mazabotto era una scampagnata delle SS tedesche e che l’aereo DC9 di Ustica non è mai partito..
Un’Italia viva e colpita, ricordata con nuove storie di politica, guerra, (in)giustizie e vita, analizzate attraverso un ipertestuale approccio artistico, crocevia di forme raffinate e divergenti, ma allo stesso tempo complementari, tra musica, teatro e poesia, in un polverone di rock e combat folk. Il doppio platter narra il nostro passato, cavalcando gli ideali colpiti; un insieme di emozioni che viaggiano sulle onde di una commossa memoria, proiettata nell’intento di avvicinare il sapere al ricordo, in questa curiosa, ma efficace piece teatrale, che a tratti si dispone come in un trattamento filmico di ampio respiro, grazie ai fedeli minutaggi recitativi.
Un raro prodotto ben arrangiato, capace di regalare vibranti sensazioni proprio come accade in Storie di Alpini, dalle cui strofe narrate emergono dolci riff in un’accorata ed emotiva descrizione dell’Armir. La track racconta l’ecatombe voluta da Mussolini e dall’Italia nera, quando dai gelidi inverni tornarono in ben pochi. La storia che prende le parole di Bianchessi, come in un classico climax, disperde le note di sfondo, e nel solo silenzio aberrato ci porta con sé, come la bellissima La strada del Davai. Un combat rock folkeggiante, arroccato attorno alla dura e calda voce di Priviero, che si diletta con il vernacolo lombardo, atteso ad un buon arrangiamento che ci lascia in lacrime sentite.
Il libro di storia che si schiude dalle confezione doppia, ricorda poi il Guccini di Su in collina, una dedica sentita a Padre David Maria Turoldo e un’analisi attenta alle orripilanti torture di vigliacchi e beceri personaggi della nostra storia nascosta.
L’andamento folk rock di Splenda il sole ci apre di li a poco il secondo atto, iniziato con Paz, dedica ad Andrea Pazienza e alla sua Bologna, protagonista di quegli anni di piombo sussurrati con rabbia cieca in Storie degli anni 70, in cui il mondo dell’ingiustizia ha inizio con Saverio Santarelli, per poi inoltrarsi nelle città ferite di Serrantini, Franceschi, Varalli. Storie che ci portano a piazza Alimonda per virare poi verso un urlato canto d’orgoglio che ci impone Nessuna resa mai
Insomma un disco capace di emozionare e turbare, introiettando forme storiche nell’immaginario dell’ascoltatore; parvenze crude e cruente, forze vitali figlie di un realismo narrativo al confine del nostro 900 letterario adattato a nuove metodologie espressive.
Insomma un disco che va ben oltre alla concettualità ristretta di CD, aprendo le porte ad una perlustrazione trasversale di arti e realismo.