Stanley Jordan live – Roma, 15/5/2023
Intro
E’ stato uno dei miti assoluti quando, un giovane Stanley Jordan, negli anni ottanta uscì con un secondo album da urlo (Magic Touch) che vendette assai e mostrò al mondo quello che il ragazzo di allora sapeva già fare benissimo, combinando tecniche diverse per arrivare al risultato di far suonare la chitarra come fossero due, portando avanti la linea di basso e quella melodica senza apparenti difficoltà ed anzi permettendosi nel frattempo atipicità varie, non ultima l’accordatura della chitarra fissa “a tutte quarte” (che lui ha dichiarato esser più logica e che, da eterno principiante del basso, trovo anch’io sensata… ma di robe tecniche per chitarristi è bene parlare con gli esperti del tema; qui non troverete mai tuttologi).
Poi, non so dire se per questioni caratteriali, commerciali o cos’altro, la promessa è stata in qualche modo mantenuta ma Jordan è rimasto in quell’area tipicamente confinata del “musicista per musicisti”, il virtuoso di cui commentare le gesta. Dagli anni ottanta in poi questa caratterizzazione è capitata a tanti, cercata o meno che fosse, e in genere è un marchio che calcifica, sicché eccoci qui, con un live rarissimo per Roma che avrebbe dovuto attrarre a carrettate e che invece, ingiustamente, ha visto un pubblico certamente accogliente, caldo ed entusiasta ma non da sold out.
Live!
Non c’era il tutto esaurito, dicevamo. “E ci dispiace per gli altri”, a dirla col poeta, perché abbiamo assistito ad un concerto notevolissimo per motivi anche inattesi rispetto a quel che già chiunque sapeva.
Palco molto scarno. Jordan arriva con la chitarra addosso, saluta e parte, via. Una prima sintesi ve la dico se promettete di leggere fino alla fine.
Promesso?
Bene.
In un’ora e mezza improvvisazioni lungo contrappunti a piacere, composizioni personali, My one and only love, Invitation, un movimento dal Concerto n. 21 di Mozart, The city of New Orleans di Goodman, Stairway to heaven, il blues, lo swing, la sperimentazione, Fragile di Sting…
Si comincia un po’ algidi, sembra una sorta di warm-up, troppe scale infilate una dietro l’altra senza un percepibile costrutto. Un altro brano e il nostro… si avvicina al pianoforte… ma tiene la chitarra addosso. Mano sinistra sulle corde, mano destra sui tasti bianchi e neri… alè, stavolta gli strumenti son due davvero; un po’ di stupore divertito ma Jordan molla già ora con gli esercizi di riscaldamento e ci trasporta verso la musica, che riempie di dinamiche e buon gusto. Altro brano restando li seduto e… l’asta del microfono viene vicino alla bocca. Voce, piano e chitarra. Tutto arriva dritto a noi senza artifici, regalato anche con un bel timbro canoro.
C’è anche uno spazio di un paio di brani suonati “come fanno tutti”, con la chitarra utilizzata nella maniera più nota per i terrestri e canzoni nel senso anche più semplice del termine. Tra un brano e l’altro arrivano anche parole, Jordan sembra stare bene nella serata, sente che il pubblico è con lui e apprezza, racconta qualcosina.
La suddetta Fragile è segnata da un mood latin anche più marcato di quanto accada nell’originale. Durante l’esecuzione invece intervengono alterazioni armoniche che drammatizzano e danno maggior tensione, si cresce in una progressione che è quasi una trance psichedelica e si torna. È chiaro a tutti che il nostro, volendo, sarebbe bravo anche al piano, se per assurdo lo suonasse con entrambe le mani come fan tutti.
Si chiude in gloria con Over the rainbow. Pubblico gioioso di aver assistito a una grande serata, Jordan se ne rende conto e ringrazia molto.
Concludendo
Che dire?
Ci si trova davanti ad un grande musicista, dopo un concerto in cui ha dato prova di saper emozionare oltre che stupire, di aver portato il suo modo di far musica ad un livello di compiutezza alto, in cui il virtuosismo, pur evidente, sa stare assieme alla scelta di note che vogliano comunicare qualcosa. Insomma, sì, siamo ai piani alti.
Resterebbe perciò da capire quale pezzo di carriera, quale evento specifico o continuativo, quale elemento mancante del puzzle stia tenendo Stanley Jordan al di sotto di quei piani alti quando si tratta di notorietà pubblica, di considerazione nelle famose classifiche dei grandi strumentisti, di quella cosa che a prescindere dalle vendite è comunque fama.
Questa però è una riflessione di cui potete serenamente fare a meno se vi interessa la musica, dal vivo o in studio: cercatelo, ascoltatelo. E’ bella musica.