Sly & the family stone – Small Talk, recensione.
Recensire un album richiede spesso il posizionamento sotto un genere specifico per poter identificare il contenuto anche senza conoscerlo.
Ecco, c’è solo una categoria nella quale piazzare i dischi di Sly & The Family Stone ed è una categoria che porta il loro nome.
Funk, certamente, soul, come no, ma il tutto impregnato in un sound intimista, intenso, inconfondibile con nient’altro. Dopo aver portato il sound del ghetto nella psichedelia con “Stand!”, dopo aver rivoluzionato il mondo con “There’s A Riot Going On” e dopo aver miscelato il tutto con maestria in “Fresh”, la vita dell’ensemble californiano guidato da Sylvester “Sly” Stewart arriva a metà degli anni 70 in piena maturità e con la consapevolezza che i cambiamenti apportati alla musica avevano già fatto il loro giusto corso. Anziché voler per forza sperimentare e suonare diverso a tutti i costi allora, Sly si concentra sulle sue forze e su quello che è un suono ormai “suo” per esprimerlo al meglio in questo lavoro del 1974 dal titolo “Small Talk”.
Ma attenzione, quest’album non vede Sly & The Family Stone crogiolarsi in una stanca routine. Le strumentazioni e gli arrangiamenti sono egregi come sempre, alternano funk di primo livello ad un soul sporco quasi sussurrato di infinita classe. Ciò che traspare sin dalla bellissima copertina che ritrae Sly con moglie e figlioletto, è un’aria di spontaneità familiare, infatti non sono rare le parti parlate sul suono, come se i microfoni in studio fossero stati lasciati volutamente aperti.
Aria che si respira soprattutto nella title-track che apre l’album, in cui la voce di Sly si alterna ai gemiti di un bambino su un beat minimale dominato dal basso slappato in puro stile della casa. Grande armonia in “Say You Will”, pezzo arricchito dalla presenza del violino di Sid Page, da una parte vocale che affonda nel soul e da incursioni di basso assolutamente penetranti. In “Mother Beatiful” il clima è veramente di pace e tranquillità, creato da tastiere e violino e ritmo rallentato ad accompagnare un omaggio alla figura materna fatto nel solito modo molto riservato da Sly.
“Time For Livin’” è un po’ l’apripista del cuore dell’album, dall’impatto più vigoroso, in cui i fiati cominciano a farsi spazio ed i cori femminili si alternano alla voce roca di Sly, creando un mix di protesta e speranza. Le faccende si fanno serie in “Can’t Strain My Brain” che, a scapito della partenza sommessa con il solito basso sporco, prende quota in un attimo trasportata dalla sua accattivante melodia e da un grande Sly che sembra dare tutto se stesso riuscendo in quella magia di travolgere tutti senza urlare. Energia pura da jam invece in “Loose Booty”, che in molti riconosceranno perchè campionata dai Beastie Boys in Paul’s Boutique, è in realtà un funkettone dai canoni più classici con fiati tiratissimi e licks di basso, impreziosito dalla natura del suono della Family Stone, in cui voci alte, basse e femminili in coro rendono il tutto un momento di festa totale.
“Holdin’ On” sembra il naturale seguito della festa che si avvia verso le luci notturne ed il buio, sublimato dalla successiva ballad “Wishful Thinkin”, che nella sua bizzarria esprime tutta la filosofia di Sly generando un misto di romanticismo, ironia, sofferenza e felicità. “Better Thee Than Me” è più di tutti un momento di apparente improvvisazione in cui tutta la band sembra volare alto con i suoi strumenti per poi incontrarsi in cielo in un funk corale appoggiato ad uno sporchissimo organo. E se è impossibile non muovere i piedi all’ascolto di “Livin’ While I’m Livin’”, forse uno dei pezzi più veloci mai registrati da Sly, è altrettanto impossibile non farsi trasportare dalla dolce e stramba “This Is Love” che ricorda un po’ lo swing, un po’ il doo-wop e un po’ i Beatles e chiude l’album con l’immortale ed emblematica frase “this is love I feel it when we’re together and I’d rather do it”. Una dichiarazione d’amore valida per il partner ma applicabile tranquillamente alla musica del gruppo, che ancora una volta si dimostra un toccasana per lo spirito e per la mente.
“Small Talk” è stato l’ultimo gioiello della famiglia Stone, un condensato di emozioni che spesso viene sottovalutato perchè oscurato dai capolavori precedenti. La bellissima edizione rimasterizzata con tanto di bonus tracks, digipack ed easustivo booklet ci dà modo di riapprezzare questo lavoro esaltandone anche le più piccole sfaccettature sonore ma un consiglio è anche quello di cercare il vinile a 180 grammi, non solo per audiofili ma anche per tutti coloro che vogliono assorbire ed essere assorbiti dall’intenso calore di Mr. Sylvester Stewart.