Sine Frontiera – 20now recensione.
Se il folk rock non è di vostro gusto, il consiglio è quello di non proseguire nella lettura dell’articolo, in quanto “20 now”, quarto lavoro dei Sine Frontiera, offre un compendio di patchanka, ska folk e musica proto-etnica, assieme a tutte le degenerazioni soniche del caso. Attraverso le 12 tracce dell’album, ritroviamo ogni stereotipo, ogni clichè ed ogni luogo comune che i detrattori del genere portano avanti da lustri ai danni di “quel genere (come dicono alcuni) da centro sociale”.
Oggi, pur essendomi sensibilmente allontanato dalla categoria in questione, quando mi capita di ascoltare un disco come “20 now”, non riesco a non raccogliere tutto il buono che si può estrarre da questo tipo di musicalità che, nonostante un’usuale buonismo retorico, riesce spesso a trascinare con i suoi ritmi incalzanti.
Insomma il full lenght dei Sine Frontiera è, nel male e nel bene, tutto questo, tra sentori di Modena City Ramblers, Mau Mau, Manu Chao e Bandabardò.
Il disco, promosso da L’Altoparlante e Caotic Records, è una sorta di collage socio-musicale, che, abbattendo ogni frontiera geopolitica, ci accompagna in un pindarico volo tra la vecchia polveriera d’Europa e il Sudamerica battagliero, senza porsi nessun limite di coerenza stilistica, ottenendo così una sorta di colorato Patchwork, in cui le tonalità appaiono talvolta vivide e convincenti e altre cucite in modo grossolano e ordinario.
Il disco parte con il giusto piglio di “Contamination”, introdotta da un west windy sound che ci porta ad una piacevole timbrica, in cui le note si mischiano e si rovesciano attorno ad una precisa e convincente sezione ritmica che si riconferma all’ombra del 1979 con “C’è chi crede che”, uno tra i migliori episodi del disco, tra core ska e folk rock. Purtroppo però non sempre il songwriting dei Sine Frontiera si salva dal retorico, come accade nella faciloneria compositiva della titletrack, esumando dietrologia spicciole.
Fortunatamente l’ensamble cambia registro con la danzereccia “Tabor”, storia tzigana impreziosita dalla bella voce di David Zivzivadze, guest star di ottimo impatto felliniano. Semplici e piacevoli risultano essere anche la nomadiana “Mefisto” e gli echi sudamericani di “Polvere e Pazienza”, che riesce a definire la musicalità cilena degli anni settanta, mescolata ad un flamenco di overture gustoso e amabile. Non mancano sentori di Ska p con “La carovana”, decorata da omaggi Vandersfroosiani al dialetto madrelingua.
Il viaggio si chiude con un salto nel tempo, attraverso il mondo gitano di “Tziganojka”, sino agli Stati Uniti del 1927 con “Sacco e Vanzetti” curiosa traccia musicata sul condizionato verdetto dei due anarchici, omaggiati da un andante ritmo valzerino, che lascia metaforicamente aperta la porta a conclusioni sociali.
Tracklist
1 contaminacion
2 c’è chi crede che
3 20 now
4 il poeta
5 luce negli occhi
6 tabor
7 mefisto
8 polvere e pazienza
9 la carovana
10 tempo al tempo
11 sacco e vanzetti
12 tziganojka