Sign Of The Times – Prince (1987)
È un peccato dover presentare questa nostra nuova rubrica, intitolata “I Dischi da Isola Deserta di Music-on-Tnt”, salutando per l’ultima volta Prince, uno dei più grandi geni della musica pop rock degli ultimi 40 anni. D’altra parte la nostra redazione ha ritenuto giusto rendergli omaggio, proponendo come “primo episodio” proprio “Sign O’ The Times”, che rappresenta verosimilmente il suo disco più maturo e, per certi versi, perfino superiore all’intramontabile “Purple Rain”.
Nel 1987 dopo aver pubblicato insieme ai “Revolution” tre album di buon livello, ma commercialmente sempre meno remunerativi per la casa discografica, il genio di Minneapolis decise di tornare a una dimensione a lui del tutto congeniale, vale a dire quella dell’autonomia più totale. E così, decise di uscire sul mercato esclusivamente con il proprio nome, ma soprattutto con del materiale inedito precedentemente accantonato per altri progetti, che fosse quasi totalmente composto, prodotto, arrangiato e suonato da lui solo. Le eccezioni al riguardo, ancorché sporadiche, furono comunque di alto livello (come, ad esempio, quella di Sheena Eston e Sheila E che compaiono rispettivamente alla voce e alle percussioni nella danzereccia “U got the look”).
Il numero di canzoni era piuttosto alto per l’epoca e visto che la Warner rifiutò di assecondarlo per un album triplo, fu costretto a ripiegare su uno doppio. A dire il vero, a tutt’oggi pochi album doppi nella storia della musica possono vantare un livello qualitativo così elevato tale da giustificarne l’oneroso formato (mi vengono in mente “Kiss Me Kiss Me Kiss Me” dei Cure, “Tusk” dei Fleetwood Mac o ancora “Songs In The Key of Life” di Stevie Wonder e pochi altri).
Il lato A si apre con il singolo di lancio, la splendida “Sign of the times”, i cui primissimi versi cantano: “In France a skinny man died of a big disease with a little name”. Ovvio che, riferendosi all’AIDS gli stessi risulterebbero oggi alquanto profetici, qualora fossero confermate le indiscrezioni che indicano in questa malattia la causa del decesso dell’artista. Al di là di tutto, questo pezzo, come una sorta di cronaca giornalistica, sciorina pericoli e nefandezze dell’umanità (droga, guerra fredda e via dicendo), con una profondità che ricorda quella del succitato Wonder (“Pastime paradise” fra le tante) e che contribuisce ad elevare di molto il valore dell’intero disco.
Quello che più stupisce di questo Lp resterà sempre lo straordinario eclettismo di Prince che svaria fra mille generi, senza farsi incastonare in nessuno di essi (pop, funky, rock e perfino jazz). I testi non sono tutti seri come la citata title track o l’intensa “The Cross”, ma parlano di tutti gli ambiti della vita di un uomo: dall’amore coniugale (“Forever in my life”), alla sessualità più audace (“Hot thing”, la ballatona “Slow love” e l’incalzate “It”) al divertimento (“It’s gonna be a beautiful night”). Altro aspetto non trascurabile, anche fra brani che non furono mai singoli, si nascondono dei capolavori assoluti (The Ballad Of Dorothy Parker” l’esempio più lampante, ma anche “Strange relationship” o “Starfish and coffee”).
Per farla breve, richiamando il titolo della nostra rubrica, se fossi su un’isola deserta, costretto a scegliere solo pochi cd da portare con me….beh “Sign of the times” sarebbe certamente fra i primi a venirmi in mente.