Sheryl Crow – 100 miles from Memphis
Dopo il primo ascolto di questo ultimo album di Sheryl Crow, risulta del tutto chiaro che il titolo scelto abbia un significato che va oltre il significato letterale.
Infatti, la bionda americana sembra voler prendere le distanze dalla musica suonata fino ad ora (pop – rock con forti influenze “alternative country”, “americana”, simboleggiata dalla celebre città del Tennessee) per dirigersi verso lidi più black.
La direzione sembrerebbe quella di Detroit, terra della mitica Motown e di gruppi come i Jackson 5, ai quali non perde occasione di rendere omaggio con la cover finale di “I want you back”.
Le sue canzoni risultano per la prima volta condite prevalentemente di fiati e ritmi che richiamano alla mente il soul anni 60/70 (con cori “neri” sparsi qua e la), anche se con esiti, dobbiamo dirlo, abbastanza altalenanti.
Parte subito bene, in realtà, con “Our love is fading”, un pezzo ritmato che ben rappresenta la svolta stilistica e nel tema legato (verosimilmente) ai tanti già dedicati – nel disco “Detours” – al suo ex Luis Armstrong.
Dopo qualche chilometro, ecco già la prima caduta con “Eye to eye”, francamente da dimenticare, col suo andamento simil-reggae. Né tanto meno serve a migliorare le cose la successiva cover di “Sign your name” di Terence Trent’d’Arby, incapace di raggiungere la passione dell’originale.
Con la più orchestrale ed estiva “Summer day”, invece, ci sembra di risentire la miglior Sheryl, con quelle melodie che l’hanno resa la star che è oggi è, così come con “Long road home” nella quale torna (parzialmente) per la gioia di tutti, ad arrangiamenti più sporcati di folk.
Il resto della track list scorre leggera come una grande swing, con i suoi alti (la ballad “Sideways” e la title track su tutte) ed i suoi bassi (l’inconcludente “Roses and moonlight”), ma senza mai evidenziare nulla di particolarmente eccitante.
Certamente, per coloro che seguono da sempre questa artista, varrà la pena ascoltare “100 miles to Memphis”, quantomeno per farsi una propria opinione sul repentino cambio di rotta sopra descritto, ma se sulla strada intrapresa Sheryl ci incontrasse e ci chiedesse un consiglio saremmo fra i primi a indicarle la via del ritorno a casa come l’unica soluzione per non distruggere la sua carriera.
100 miglia di distanza sono poche, forse, ma in questo caso possono bastare.