Serj Tankian – Elect The Dead Symphony recensione
Tanto tempo fa, in un paese lontano, esisteva la musica.
Il suo concetto cresceva forte e sano finchè, col tempo, non si trovò a dover collaborare con le parole al di sopra di essa. Qualsiasi cosa poteva essere scritta come cantata e così si crearono degli schieramenti veri e propri che videro due fazioni contrapporsi: quella dei cantanti tradizionali e quelli dei virtuosi della poetica del fare canzoni. La prima sembrava dominare in maniera incontrastata, ma, nel 1994, quattro piccoli eroi si riunirono tra di loro per dare voce a un popolo, a una nazione al desiderio di vedere un mondo migliore: erano i System Of A Down.
Reduci dal successo dei primi tre incredibili album (“System Of A Down”, “Toxicity” e “Steal This Album!”), i System si mostravano come una band vera e propria che nona veva bisogno di sponsorizzazione per dire quel che pensava al mondo. Nel 2005, però, arrivò un contratto e la possibilità di diventare maggiormente visibili: i risultati furono un progetto in due parti (“Mesmerize” e “Hypnotize”) che fece tirare fuori parole più contenute e canzoni da radio che mettevano in mostra soltanto la cattiva qualità del prodotto. L’affare diventò improducente così i System pensarono fosse arrivato il momento di prendere strade diverse: Dan Malakian (chitarra e seconda voce) e John Dolmayan (batteria) fondarono gli Scars On Broadway dando vita ad un album piatto e di sonorità uguali al vecchio stampo della band precedente; Serj Tankian (voce dei System), invece, decise di muoversi in solitaria autoproducendosi un album vero e proprio che, pur avendo gli stessi difetti degl Scars, migliora abbondantemente nei testi: reali, veri e scomodi.
“Elect The Dead” si configurava come una realtà assoluta (nonché uno sviluppo eccellente dei System) che riportava in vita, almeno per un secondo, i vecchi System Of A Down. Un progetto che si muove in maniera simile alla teoria eliocentrica in cui possiamo individuare il sole (la civilizzazione intesa come comunicazione) come il problema maggiormente affrontato e la terra con gli altri pianeti, a seconda delle distanze, come le altre tematiche (guerra, irresponsabilità da parte dei politici, risorse non rinnovabili, la sfiducia e l’attacco nei confronti di Bush, ecc.) che gravitano intorno alla prima stella in base alle conseguenze di una sua primordiale esplosione. Il tutto ruota a ritmo di un metal che fa tabula rasa di un mondo ormai agli sgoccioli. Una visione del caos di una società che non ha più possibilità di riscatto, se non quella di eleggere i morti.
Oggi quel piccolo lavoro meraviglioso, sotto la tutela dell’arrangiatore John Psathas e della Auckland Philarmonica Orchestra, è diventato più adatto all’anima candida di Serj: “Elect the Dead Symphony”.
L’album, oltre a riproporre la tracklist del precedente lavoro, è decisamente un lavoro pregiato e controllato in ogni sua forma (completo, poi, di un dvd che permetterà di coninvolgere l’ascoltatore in una visuale a 360 gradi). Il disco non è molto innovativo, ma porta avanti un messaggio impegnato nel sociale che tenta di collegare i pezzi del puzzle della civilizzazione, ormai un sogno remoto per l’artista.
Il tutto inizia con la struggente “Feed us”, il giusto inizio che apre, immediatamente, le porte di un nuovo brano leggermente arpeggiato (“Blue”) che si ricollega, musicalmente, all’altro inedito, ovvero “Gate 21”. Molti, nella prima versione del cd, hanno preferito considerare il singolo di lancio “Empty Walls” come il vero cavallo di battaglia dell’album: il quadro un’America sempre dalla parte sbagliata nella guerra contro Iraq e Afghanistan, ma i più attenti affermano che quello sia solo la punta di un iceberg molto profondo che danneggia attentamente la nave della modernità alla ricerca della sua zavorra. In questo caso, però, è bene affermare la reale difficoltà nel prevedere quale potrà essere il giusto singolo di lancio per un progetto così delicato: viene da pensare a “Sky Is Over” leggermente migliorata, ma anche pesantemente penalizzata per aver abbassato notevolmente le tonalità. Molto probabilmente l’unico modo per uscire da questo tunnel è non porsi domanda e lasciarsi trascinare dall’atmosfera grottesca che determina l’intero “Elect The Dead Symphony”, stavolta maggiormente resa dalle esecuzioni di “Beethoven’s C**t” e di “Lie Lie Lie”. Da questo poi è possibile passare, in maniera quasi simultanea dal romanticismo (“Baby”) all’intimismo più sfrenato (“Elect The Dead”; decisamente l’esecuzione migliore) che sembrano non solo ricollegare il lavoro agli ultimi due inediti (“The Charade” e “Falling Stars”), ma anche definire il progetto secondo una modalità che si può dire completa di ogni sua componente per attirare il pubblico interessato.
Inspiegabilmente tagliata quella che poteva essere una canzone che si sarebbe prestata perfettamente all’orchestra: “The Unthinking Majority”.
A livello tecnico, il progetto di Tankian risulta abbastanza ripetitivo, ma in un panorama del tutto scontato l’unica cosa che colpisce è la fantasia dei vocalizzi dell’autore, che toccano qualsiasi altezza e sembrano conferire individualmente, ad ogni singolo brano, dei toni quasi sacri, come fossero delle preghiere. Non prevale sempre la chitarra elettrica, ma il piano forte, fattore alquanto anomalo per un cantante metal, il quale, in fase di registrazione, si era cimentato in tutti gli strumenti tranne la batteria e che quindi, soltanto qui, decide di mantenere quella forma.
“Elect The Dead Symphony” è stato accompagnato da una misera e alquanto invisibile pubblicità che lo ha reso simile, come il suo predecessore (in cui Serj ha dovuto provvedere da solo alla promozione creandosi un’etichetta discografica personale: Serjical Strike che gli ha dato non pochi problemi col suo precedente produttore che gli suggerì di riscrivere “Lie Lie Lie”) a uno starnuto soffocato, ma a differenza del primo tentativo questo risulta essere un’immagine più nitida che molti vedranno poiché il tutto sarà accompagnato da un tour mondiale che farà tappa in Italia il 4 e il 5 Luglio (Milano e Roma).
Il disco di Serj Tankian oltre ad essere un viaggio incredibile tra il grottesco e l’impegno sociale, deve essere ascoltato più volte poiché potrebbe fare scattare qualcosa.
Non tutti ci riescono.