Santo Barbaro “Geografia di un corpo”, recensione
I Santo Barbaro, rappresentano da qualche anno un project sonoro coraggioso e comunicativo, in grado di attraversare le valli di un underground italico piuttosto fervente. L’ensemble, nato dall’idea iniziatica di Pieralberto Valli e Franco Naddei, giunge a noi vestita di sperimentalismo, indie e post cantautorato, angoli di un triangolo suggestivo al cui interno si celano musicisti esperti e narrativi.
La band, a sei anni di distanza dal proprio esordio, superata la fase dell’araba fenice, torna alle stampe con Geografia di un corpo>, ultima release promossa da Macramè Tame Comunicative e licenziata da diNotte Records, contenitore riuscito di sperimentalismi e rimandi post punk, industrial e oscurità espressiva.
Così dopo qualche tempo eccoci tornare a sederci su “quella panchina”, ancora una volta accompagnati da un disco dall’impatto emotivo trainante e per certi versi sorprendente. Un viscerale, disorientante e avvolgente platter, ricco di sfumature ed intuizioni, in grado di disegnare un arco espressivo, che partendo dalla metà degli anni 80, giunge a noi osservativo e ricco di groove.
Le note iniziano a scendere con le Lacrime di Androide, avvolgente intelaiatura dalle sensazioni new wave. Un viatico oscuro che nel suo splendido inciso richiama sentori CCCP, attraverso la sua ossessiva metrica espressiva, ottimo incipit che trova conferma immediata tra le linee melodiche di Pavlov, in cui l’armonia “Grapevine”, si innesta sull’osservazione visionaria della linea vocale.
Il tracciato sonoro, imperlato da percussioni e surrealismo, offre un pattern ossessivo ed avvolgente, che ci appare sin da subito come tra i migliori momenti di questa Geografia di un corpo .
La rabbia espressiva ci conduce sin da subito verso il beat vintage di Cosmonauta , magnifico dipinto dai tenui colori indie pop. Una melanconia in stile Grandaddy, che sembra voler reimpostare le basi di un climax musicale atto a rendere il disco magico ed avvolgente. Le note libere e filmiche, restituiscono all’ascoltatore una forza interpretativa, che fluttua tra le delicate tinte di un basso straordinario. Se poi con La necessità si un’isola la narrazione si orienta verso lo spoken word, similmente a quanto accade nel freddo scontro espressivo di Zolfo , la struttura battente si scontra in una collisione di mondi che rinchiudono rimandi sonori metaforici e ben definiti. Non mancano poi esempi di fusione curiose come accade in Corpo non menti , in cui elettronica e la sua impronta danzante si pone al servizio di un punk post moderno, inquadrato dai colori del pop indie. Non mancano neppure tetre ed inquiete parentesi ( Finché c’è vita ) né rimandi alla Trilogia del potere , qui rilegata su un beat Black Keys ( Ora il presente ).
A chiudere (forse) il miglior disco del Santo Barbaro sono la desertica Tra gli alberi , libera composizione di frasi tratte dal agiografie di santi e profeti, e In memoria di nessuno , in cui le voci di Matteo Teio Rossetti e Giuseppe Righini, si offrono alle deformazioni ossessive di un brano inquieto e sognante.
Insomma…credo di poter dire, senza troppi dubbi, che questo candido digipack sia il miglior disco di questo ricco novembre.