Sade – Soldier of love, recensione.
Volendo raccontare un po’ la storia di Sade, prendendo spunto dal suo ultimo album, non si può non partire dal fatto oggettivo che la storia di questa artista può considerarsi quanto meno speciale (se non unica) nel panorama pop che va dagli anni 80 ad oggi.
Basti pensare che è la sola a poter vantare una carriera così lunga (il suo primo straordinario LP è del 1984) avendo tuttavia centellinato – in questo lasso di tempo – appena 6 album di inediti. Di solito, in questi casi, difficilmente si resiste alla dura “legge del dimenticatoio”, soprattutto se a ciò aggiungiamo che stilisticamente è sempre rimasta fedele a sé stessa, introducendo qua e là solo lievi elementi di novità, mai veramente sostanziali. A quanto pare, il suo pubblico l’ha sempre seguita ed amata per quello che è (a noi piace definirla, sinteticamente, una dolcissima e “impenitente” night balladeer), apprezzandone le sognanti melodie, sempre pronte a cullare il cuore, rilassando nel contempo il corpo e la mente.
“Soldier of love” corre sul filo di questo lunghissimo leit motiv e come una rosa profumata presenta i suoi 10 preziosi petali… tanto apparentemente simili (sono tutte lente, spesso in chiave acustica), quanto – in realtà – ben distinti l’uno dall’ altro. Il meglio lo troviamo al centro di questo splendido fiore e, in particolare, dalla quinta traccia in poi, dove una canzone dopo l’altra Sade sciorina quel repertorio che aspettavamo da oltre 10 anni (tanto è passato dal suo bellissimo “Lovers rock”), puntando sul tema predominante della difficoltà di vivere una volta finito un amore.
E così in “Long hard road” parla della speranza di chi sa di dover affrontare un percorso arduo e difficile, mentre in “Be that easy” si descrive come donna affettivamente delusa e virtualmente in caduta libera, tanto da non voler più raggiungere la terra, ma possibilmente cadere da qualsiasi altra parte.
Bella e malinconica l’immagine descritta in “Bring me home” (che col suo incedere ritmato e la sua chitarra elettrica suona verosimilmente come la canzone più dark della sua discografia) nella quale si augura di essere lasciata libera, come una fiammella riposta su un galleggiante, contornata da petali e in balia della marea. Di “In another time”, invece vogliamo evidenziare soprattutto che era dai tempi di “Smooth operator” che non si aveva il piacere vedere accompagnare un suo pezzo con un sax così bello e sinuoso.
Il climax dell’amarezza sentimentale termina con “Skin” (forse la pop ballad col vestito più simile a quelle del suo repertorio), nella quale risalta il desiderio di tagliare i ponti con l’amato, esclamando un fatidico e definitivo “addio”.
Il cd chiude con una lullaby, basata su archi ben arrangiati, che – a sorpresa – parla finalmente di un rapporto ritrovato, rappresentando metaforicamente il cuore di Sade come una vera e propria roccaforte inespugnabile, dove l’amore del suo nuovo lui potrà finalmente trovare “The safest (hiding) place” (il posto più sicuro dove nascondersi).
Alla fine, volendo tirare le somme, la canzone più difficile e che magari stona col resto del disco è proprio, paradossalmente, la title-track, nonché singolo apripista dell’album. Si fosse trattato di una debuttante, l’errore strategico dell’entourage della cantante le sarebbe risultato fatale ma, come ampiamente detto nella nostra introduzione, Sade ha dimostrato di avere le spalle così forti (e sexy, a quanto si può facilmente constatare dalle foto interne del booklet) che metà basta.
Per i più romantici lo definiremmo in una parola: “imperdibile”.