Rosybyndy “Kapytalysty vyrtualy”, recensione
Sono un disabile fuori dagli schemi. Odio il pietismo.
Rosybyndy altro non è che le nom de plume adottato da Luigi Piergiovanni, musicista romano che, dopo gli anni da arrangiatore ed autore discografico, torna al suo antico amore: la musica. Una musica non certo dedita al banale e al facile impatto. Un approccio schizzoide di un progetto sopra le righe, ben metaforizzato dalle esagerazioni lessicali del titolo stesso ( Kapytalysty vyrtualy), da cui si percepisce il retrogusto grottesco per il tragicomico.
L’ingrediente basilare si mescola con attenzione spontanea ad un futurismo cantautorale, in cui il pessimismo generazionale fiorisce tra contenute gioie e rabbia esposta in un background elettro-pop. Un viaggio narrativo all’interno del quale l’autore fonde in maniera inusuale la necessità d’espressione dialettica, con onirici comparti sonori e sensazioni sintetiche di suoni elettronici che non tralasciano movimenti techno trance, dance, minimal e trip pop, magicamente declinati alla canzone d’autore.
Il continuum narrativo pervade le tracce attraverso una sorta di angoscia esistenziale, che svisa in ossessività sonica al servizio di un (anti) sociale approccio del quotidiano, da cui fuoriesce un curioso ermetismo atto a lambire pacatamente il non-sense.
L’impatto avanguarde è raccolto dall’opener Chiudete bene la porta, dinoccolata posizione sonora, interposta tra il ferrettiano punx e il cantautorato anni ’70, innestato su di uno shaker con l’adesivo Prodigy sul fronte. Una traccia invasiva e disturbante quasi intenta a voler avvisare i visitatori in maniera dantesca. L’impatto sonoro si acqueta poi attraverso il dream lounge di Due sentieri, il cui sfondo elettronico è moderato dalla femminea voce di Rossana Rivale. L’album, ricco di guest star, si offre alle ritmiche funktroniche di Dogma, realizzata in sinergia con Fausto Rossi e Flavio Giurato, che anticipa i sapori d’oriente di Giù dal cielo e la cupa visione di Il ventre dell’anima.
La visionaria concezione musicale di RoSybyndy trova fondamenta tra gli intrecci vocali di Chinacrack e l’ossessivo onirismo trip pop di Nabouf, da cui emerge la voce di Jing Ru. Nonostante però, atti musicali come lo spico-industrial di Non votare per me e il noise strutturato di Vorrei parlarti di me appaiono di buon spessore, è con Mengele’s Nightmare che si raggiunge l’apice espressivo di questo full lenght. Grazie all’orrorifica sonorizzazione del brano, gli spigoli musicali risultano in grado di costruire un sentiero narrativo di ottimo impatto, arrivando al suo pathos espressivo con la conclusiva Waiting Cleopatra, filastrocca dark che brucia note disturbanti, pronte a donare al disco una piacevole ed in catalogabile condizione.