Ronin – L’ultimo re, recensione.
Dal ventre fertile della Ghost Records è stato da poco partorito il nuovo album dei Ronin, che tornano dopo due anni di silenzio con “L’ultimo re”, una sorta di concept album filmico, che trova il suo incipit in “Con le budella dell’ultimo prete impiccheremo l’ultimo re”, frase dal riferimento cinematografico, ma ancor prima menzionato in un vecchio canto anarchico.
Ma tranquilli, questa volta non avrete a che fare con uno “splatteroso” gore metal, ma bensì con le dolci melodie che Dorella e soci ci hanno abituato negli ultimi anni.
L’album si apre con l’armonico e tranquillizzante suono delle cicale estive, che introducono il sound pensieroso, posato e delicato della titletrack. Attraverso il suo arpeggio pensante, l’ascoltatore viene accompagnato verso un polveroso cammino, tra un zufolio western-leonino e sviluppi corali, che arrivano a raccontarci la “Fuga del prete”, con il suo cavalcate ritmo. Stoppate e mezze tinte conducono l’assolo, tra serpenti a sonagli e assolate steppe, su sviluppi sonici degni di menzione, per il palesarsi di un’evidente crescita progressiva della band.
Infatti, tracce musicali come “Bleedingrim” e “ Venga la guerra”, non fanno altro che confermare la maturità artistica dell’ensemble musicale, attraverso un’arte dei suoni adatta ad un solitario viaggio ad occhi chiusi, che riesce a donare un naturale senso del movimento assetato di sapere.
I toni si mescolano con il rilassato ballo di “Lo spettro”, fucina di romanticismo demodè e climi temperati, in cui le dita scorrono sicure verso ciclotimiche partiture, che caratterizzano la seconda parte del full lenght.
L’album si chiude a cerchio con “Morte del prete” e “Morte del Re”, narrate tra squisiti e semi distorti passaggi diluiti, che richiamano ad un tarantiniano Surf rock, serrando così il dramma liberatorio del lungo finale.
Insomma un disco che porta polveri ztigane, arabeggianti ed indo europee, donando alle composizioni un aria di originalità, pur essendo condotte da un unico fill rouge, espresso nel migliore dei modi…ed ora, se avete voglia di ascoltare un film, non avrete altra scelta che entrare nel mondo dei Ronin.
Intervista
Ringraziamo Bruno Dorella per la sua sempre gentile disponibilità.
Partiamo dalla genesi del nome che avete scelto 7 anni addietro…quanto la scelta ricade nella voglia di non avere padrone, sede e legami fissi come i vecchi samurai?
Sicuramente il fascino è in parte quello. C’è poi il fatto di essere noi tutti un po’ mercenari, nel senso che ognuno di noi suona in molti altri gruppi. E soprattutto c’è il fatto che il Ronin non è un samurai vagabondo per sua volontà, ma lo è perché ha fallito nel suo compito o ha tradito. E’ quindi uno sconfitto, un reietto, uno che ha perso. Ancora un guerriero e un eroe, ma sconfitto.
Come è nata l’idea di riferirsi alla Ghost record come label?
Quando sono entrato in contatto con loro stavo cercando di far uscire i miei gruppi da Bar La Muerte, la mia etichetta. Volevo separare le due cose. Inizialmente sembrava saremmo usciti per Gammapop, poi l’etichetta è fallita, ma in qualche modo, grazie all’aiuto di Alessandro Raina, siamo entrati in contatto con Ghost, e siamo ancora con loro.
Con “Lemming” siete arrivati a “Vogliamo Anche le Rose”…raccontaci come è nata la collaborazione. Ci sono i presupposti per continuare su questa linea attraverso nuove collaborazioni con il cinema?
Continuare con il cinema è il mio più grande desiderio. La colonna sonora di “Vogliamo anche le Rose” ha cambiato il mio approccio alla musica, è stata un’esperienza fantastica e sento di avere molto da dare a quel mondo. La collaborazione è nata nel modo più semplice. La Produzione (nella persona di Gaia Giani) ha fatto sentire Lemming ad Alina Marazzi, che ha cominciato a sovrapporre i pezzi di quel disco sul suo film. Ha funzionato, e mi hanno chiamato per fare la colonna sonora.
Come riesci a conciliare il mondo OvO con quello dei Bachi e Ronin? Quali sono le diversità esecutive e programmatiche che le tre band richiedono?
Non c’è problema, sono 3 gruppi completamente diversi. Nei Ronin compongo e suono la chitarra. Negli OvO suono la batteria in modo molto pesante, metal. E i pezzi vengono fuori da improvvisazioni e prendono forma poi senza avere una vera e propria composizione. Infine nei Bachi suono la batteria in modo molto scarno. Pochi colpi, leggeri nel battito ma “pesanti” nell’economia del brano. E i pezzi sono composti da Succi. Come vedi, non c’è rischio di ripetersi o confondersi…
Quali sono i limiti che riuscite a superare in presa live? E quali invece fungono meglio su disco?
Dal vivo siamo più essenziali, non ci sono gli ospiti che sono invece sugli album. Rispetto ai dischi precedenti, in cui praticamente dovevamo riarrangiare i pezzi per suonarli dal vivo, L’Ultimo Re sarà abbastanza fedele, tranne che per la title-track.
La cover art di “Ultimo re” riesce ad unire classicismo orientaleggiante a modernismo underground. Quali erano gli obiettivi che vi siete posti con questa scelta grafica piuttosto particolare
Bella domanda. Volevo uno stile illustrativo, quasi da tatuatore, unito a qualcosa che ricordasse l’incisione medievale. Direi che Ango the Meekdead (l’autore) ha superato ogni mia più rosea previsione. Le illustrazioni che vedi nel disco erano tutte proposte per una copertina. Alla fine abbiamo deciso di aumentare le pagine del digipack per poterle utilizzare tutte. Grazie Ango!
Rispetto ai primordi è evidente una maggior cura non solo per le composizioni, ma anche per gli arrangiamenti…state perdendo di naturalezza o guadagnando di abilità?
Stiamo crescendo. Che vuol dire anche invecchiando. Non mi basta più fare un giro Mi minore – Do e chiedere a una violoncellista di suonarci sopra quello che vuole. Allora funzionava, amo ancora quei dischi, era l’urgenza comunicativa che importava. Ora siamo un gruppo riconosciuto, “affermato” se mi concedi di traslare questa parola e adattarla al nostro piccolo mondo lontano dalle classifiche. Vogliamo di più, vogliamo concederci più tempo per curare il suono, vogliamo dischi di cui essere orgogliosi, dischi che sopravvivano alla nostra morte.
Come nasce la trovata di “Con le budella dell’ultimo prete impiccheremo l’ultimo re”?
Come tante cose che tornano nei Ronin, fa parte della mia infanzia. E’ una frase che sentii da piccolo in un film italiano, cantata da un oste comunista o anarchico, non ricordo. Mi è sempre rimasta dentro non solo per il senso ma anche per la dinamica splatter. In un momento in cui non riuscivo a dare ordine alle idee de L’Ultimo Re questa frase mi è venuta in mente, e l’ho usata come concept dell’album. Mi ha aiutato a riordinare immediatamente le idee, escludere ciò che era di troppo e dare coesione a quello che restava.
Appare evidente la fonte di ispirazione Morriconiana…oltre a questo tipo di musicalità, esistono elementi letterari che influiscono sulle composizioni?
In Lemming avevo forte l’influenza di Jorge Amado e dei suoi pescatori di Bahia. Il pezzo “I Pescatori Non Sono Tornati” arriva direttamente da lì. Per L’Ultimo Re invece tutta la sceneggiatura vagava nella mia fantasia. Ho preso delle immagini qua e là da libri che leggevo nel periodo delle registrazioni, ma non posso dire che ce ne sia uno che ha davvero influenzato la musica del disco. Però posso dirti che mentre mixavamo leggevo “A Cercar La Bella Morte” di Carlo Mazzantini, prestatomi da Giovanni Succi dei Bachi, e ne ero letteralmente sconvolto.
Guardandovi indietro nel tentativo di elucubrare una sorta di bilancio, cosa vorrebbero realizzare i Ronin nell’imminente futuro artistico?
Vorremmo suonare molto dal vivo, portare in giro l’ Ultimo Re su più palchi possibile, e fare nuove colonne sonore. E’ quello che sappiamo fare, vogliamo continuare a farlo.
Tour
20 nov 2009 20.00 ARCI Blob Arcore
21 nov 2009 20.00 Bronson Madonna dell’Albero (RA)
22 nov 2009 20.00 Caffè del Progresso Torino
5 dic 2009 20.00 Leoncavallo Milano
18 dic 2009 20.00 Twiggy Varese